Chris Froome, una vita in bici dal Kenia all’Inghilterra

Chris Froome, una vita in bici dal Kenia all’Inghilterra
di Francesca Monzone
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Sabato 26 Maggio 2018, 20:38
Froome è un campione della bicicletta, forse non si può paragonare ai grandissimi del ciclismo di un tempo, da Fausto Coppi ad Anquetil, Merckx, Bobet, Fignon, Lemond, Contador, Gimondi, Moser, Binda, Indurain,  anche Pantani. Ma il nome di Froome, il keniano bianco che corre per la Gran Bretagna rimarrà nella storia di questo sport. Ha trentatrè anni, Chris, essendo nato a Nairobi il 20 maggio del 1985 e ha cominciato a pedalare quando ne aveva quindici, poco prima che la famiglia si trasferisse in Sudafrica, a Johannesburg. Adesso, se non ci saranno intoppi visto che su di lui pende un giudizio per il caso salbutamolo, ha vinto i tre grandi Giri del mondo del ciclismo, Tour de France, Vuelta di Spagna e Giro d’Italia.

Dal Kenya al Sudafrica dove nel 2007 è diventato professionista con la piccola squadra del Team Konica Minolta. Laggiù, le gesta di Chris non sono passate inosservate all’occhio attento di Claudio Corti che l’anno successivo lo ha portato in Italia, al Team Barloworld, dove però non ha brillato come si pensava ma qualche suo successo gli ha consentito di essere chiamato in nazionale, quella britannica, per correre il Mondiale dei 2008.

L’Inghilterra, Paese nel suo segno per tanti motivi, non lo ha mollato e nel 2010, l’anno della svolta, ha firmato per il Team Sky. Prima stagione per capire, seconda per affermarsi. Difatti, nel 2011 Froome si è piazzato al secondo posto nella Vuelta (e per un giorno è stato anche maglia rossa) e un anno più tardi di nuovo secondo, ma al Tour de France (ha vinto una tappa, la settima) alle spalle del suo capitano Bradley Wiggins. A proposito, si pensa che lui avrebbe potuto batterlo, ma le gerarchie dovevano essere rispettate. Tutto questo un mese prima di conquistare il bronzo olimpico nella cronometro a Londra.
Era in rampa di lancio, Froome, il lancio di una carriera che appare straordinaria se non fosse macchiata dal doping.
Nel 2013 Chris ha fatto suo il Tour (due tappe conquistate e una cronometro) che ha vinto per quattro volte – peccato il ritiro nel 2014 in seguito a una caduta – e lo scorso anno dopo il Tour si è imposto anche in Spagna facendo sua la Vuelta. Nel 2014 alla Grande Boucle era il favorito insieme a Contador e Nibali, ma come detto le cadute lo hanno spazzato via prima di tornare per la Vuelta dove è stato secondo.

La spada di Damocle del doping, dicevamo. E il doping è sempre stata una presenza nella carriera di Froome, una presenza ingombrante, spesso al centro di rumors che parlavano di uno di sostanze proibite ma poi puntualmente smentite dai controlli. Alla fine del 2017, però, un test lo ha bloccato: positivo al salbutamolo durante l’ultima Vuelta.

Un caso, questo, particolare. Froome, che è sposato con Michelle Cound e ha un figlio di quasi tre anni, Kellan, non ha mai smentito l’uso della sostanza per curarsi l’asma, ma il problema è quello della concentrazione. Il test indica 2000 nanogrammi per millimetro presente nelle sue urine contro un massimo consentito di 1000. La difesa è complessa, lui dice che il giorno incriminato in Spagna faceva caldo e la concentrazione elevata è dovuta a questo particolare. La vicenda verrà chiarita nei prossimi mesi con un ulteriore test che si svolgerà molto probabilmente a Losanna.
Chris non ama parlare troppo di se stesso. E’ un uomo riservato, poco mediatico, uno che non ama molto i social. Sembra che il suo unico e grande interesse sia il ciclismo, il Tour lo abbaglia, è il suo mito, la corsa che lo ha stregato. Quest’anno ha voluto essere al Giro perché questa corsa non l’aveva mai vinta e al tris – Tour, Vuelta e Giro – ci teneva da matti. E con il Giro aveva anche qualche conto in sospeso come una squalifica da farsi perdonare, quella ricevuta nella 19esima tappa del 2010 quando sulla salita del Mortirolo si aggrappò a una moto della polizia. «Avevo problemi alle ginocchia – dirà per giustificarsi – Avevo già deciso di ritirarmi e volevo farlo al rifornimento, in cima a quella salita». Allora, però, era uno sconosciuto e pochi fecero caso a quell’episodio. L’anno prima, sempre al Giro, era finito al 39esimo posto della classifica generale.

Detto tutto questo, squalifiche e risultati non straordinari – parliamo del 2010 – Froome è diventato Froome, ovvero un corridore super. Si dice che abbia dovuto faticare per adeguarsi a un ciclismo di livello superiore a quello che praticava in Sudafrica, che doveva ambientarsi, ma di certo tra il 2010 e il 2011 lui è cambiato. Si racconta anche della malattia, la “schistosomiasi” una malattia tropicale che è difficile da diagnosticare ed è diffusa in Africa – è una malattia parassitaria, seconda per diffusione dopo la malaria - e può portare anche alla morte. E’ causa di spossatezza e a Chris è stata diagnosticata nel 2010 e pare che la completa guarigione sia avvenuta nel 2013. Prima di allora andava forte, tra allenamenti e gare, solo a sprazzi. Dopo, quando è stato scoperto il male, tutto è cambiato.

C’è chi lo ha accusato di utilizzare farmaci per curare la schistosomiasi che lo avrebbero favorito, esattamente come accaduto con Lance Armstrong dopo il tumore ai testicoli. Lui e l’Uci hanno sempre smentito questa ipotesi.

A rendere un campione Froome è stato Tim Kerrison, il preparatore che in Inghilterra è considerato un guru. Spesso non bastano i muscoli e la volontà ma anche il mezzo, che è la bicicletta sempre più tecnologica, per emergere in questo ciclismo: occorre il lavoro, occorrono i sacrifici ma, soprattutto, il metodo e la pianificazione. Kerrison, che arriva da Brisbane, in Australia, è stato l’uomo che ha fatto tutto questo con Froome (ma non solo). Lui, appassionato di sport, uno che sa di non poter mai diventare un campione, si è dedicato allo studio della preparazione, e attraverso la scienza ha aiutato tanti atleti ad emergere. Tra loro c’è Froome essendo stato ingaggiato dalla Sky. Lui, che non conosce neppure il ciclismo, si è aiutato non con i test di Enrico Arcelli, il grande studioso della preparazione, ma attraverso i parametri fisici, quelli della soglia aerobica al consumo di ossigeno alla potenza.

Adesso siamo davanti a un Froome imbattibile. Quello che ha fatto al Giro è straordinario, dalle retrovie è partito, ha azzannato tutti, ha piegato Yates, si è preso il Giro e lo ha fatto in salita facendo il vuoto. Un’azione degna del Pirata, il grande e mai dimenticato Marco Pantani, un uomo che ha gente ha amato e continua ad amare, uno grande come Coppi.
A Roma Chris entrerà a trionfatore, alzerà le braccia in segno di vittoria, di gloria. Solo il tempo ci dirà se questo successo è autentico e non effimero come troppe volte il mondo dello sport moderno ci ha fatto vedere.
 
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