Giovanni Malagò, presidente del Coni: «L’Italia deve prendere esempio dallo sport»

Giovanni Malagò, presidente del Coni: «L’Italia deve prendere esempio dallo sport»
di Ernesto Menicucci
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Domenica 23 Aprile 2017, 09:30
L’appuntamento è verso sera, quando dalle finestre comincia ad entrare aria gelida e quando a Palazzo H, sede del Coni, non c’è quasi più nessuno: due receptionist, un paio di segretarie e lui, il presidente Giovanni Malagò. Intorno a sé, nella sua stanza, quadri con foto appoggiati a terra e non sul muro, lui con le figlie, lui con il cane, lui dal Papa, gli scatti con la corsa il giorno dell’elezione, due magliette da calcio col numero 13: una della Roma, l’altra del Canottieri Aniene, il circolo che è la sua seconda pelle.
Malagò, il suo orario di lavoro?
«Mah, quando sono a Roma arrivo la mattina presto, verso le otto e trenta e prima delle dieci e mezza/undici non vado via. Vivere da solo e avere le mie figlie grandi può avere dei vantaggi...».
Si sta preparando alla campagna per la rielezione?
«Intanto ho uno sfidante, Sergio Grifoni, dirigente dell’Orientamento, ex presidente di quella disciplina. Erano tutti preoccupati che fossi da solo... E’ la democrazia».

 
Il suo bilancio di questi quattro anni?
«Intanto ditemi quale altro mondo ha rinnovato il 40% del suo gruppo dirigente. E parlo dei presidenti di Federazione, che vengono eletti dalla base non certo nominati».
E i risultati sportivi?
«Direi più che positivi. A Rio venivamo accreditati di 18-20 medaglie, ne abbiamo prese 28, di cui otto d’oro, con un grande ricambio generazionale, moltissimi piazzamenti nei primi otto».
Lo sport, rispetto al momento non felicissimo che vive il Paese, come si colloca?
«Non sta a me dirlo, è come se si chiedesse ad uno chef com’è il piatto che prepara. Ma questa rimane una delle eccellenze italiane. Magari tutte le cose andassero come le nostre...».
Vale anche per il calcio?
«Beh, ogni realtà ha cose che funzionano e criticità. Ecco, magari il calcio ha qualche criticità in più...».
Alla Lega arriva come commissario Tavecchio. Giudizio?
«E’ una partita che gioca la Federcalcio, il Coni non è coinvolto. Abbiamo le nostre opinioni, ma quella è una scelta nella responsabilità della Figc».
Lei, invece, nel frattempo una carica l’ha lasciata: non è più presidente del Circolo Canottieri Aniene. Un’epoca che si chiude?
«La mia, lo dico senza retorica, è stata una lunghissima storia d’amore con il Circolo. Sono entrato come figlio di socio a 14 anni, ne stato presidente per 20 anni, dal 1997, quando lo diventai a 37 anni. All’Aniene sono passato per 6 rielezioni, mi vanto di non avere mai avuto un voto contrario».
Neanche in Bulgaria vecchio stile... Si è dato la spiegazione?
«Non mi sono mai risparmiato. E siamo riusciti a rinnovarci, unendo le regole del club anglosassone – status, prestigio, appartenenza – al concetto di Polisportiva con l’Acquaniene dove diamo anche lavoro a 200 persone».
Perché ha lasciato la presidenza?
«La vede la foto di Mattarella? Il mio è un ruolo pubblico, era fondamentale far vedere che sono al di sopra di tutto e ho chiesto di non avere più la rappresentanza legale del Circolo. Ora c’è Massimo Fabbricini, un amico e un uomo di sport».
Lei rimane presidente onorario. Un padre nobile?
«Se vuole, mi può chiamare così. Quando ci sono delle decisioni da prendere mi consultano: diciamo che si sentono rassicurati dal sentire il mio parere».
Come presidente dell’Aniene, dal ‘97 ad oggi, ha visto cinque sindaci.
«Beh, mi è andata meglio che da presidente Coni con i ministri. Siamo già a quattro che hanno avuto la delega allo Sport: Piero Gnudi, Graziano Delrio, Matteo Renzi, Luca Lotti».
Una parola per ogni sindaco. Francesco Rutelli?
«Concreto»
Walter Veltroni?
«Passionale»
Gianni Alemanno?
«Leale»
Ignazio Marino?
«Corretto. Parlo sempre del loro rapporto con me».
E Virginia Raggi?
«Giudizio sospeso da un errore di valutazione clamoroso da parte sua. Un pregiudizio solo politico e non tecnico incomprensibile».
Perché non ha detto “ritardataria”?
«Non sarebbe stato elegante... Ma è evidente che il giorno del No alle Olimpiadi non ci ha voluto incontrare, perché non avrebbe avuto appigli nel dire no».
Ma i progetti sugli impianti sportivi di Roma, a cominciare dallo stadio Flaminio, che fine fanno?
«Non è più un mio problema. Io guido il Comitato Olimpico Nazionale, rappresentiamo oltre 8 mila Comuni. Noi siamo disponibili a collaborare con tutte le amministrazioni, come facciamo a Torino ad esempio».
Sportivamente, Milano sta superando Roma? Il derby delle Maratone, la sessione del Cio sotto la Madonnina, la storia degli Internazionali di Tennis che ciclicamente torna...
«Sullo sport Roma ha una prerogativa che è il Foro Italico: Sei Nazioni di rugby, Golden Gala di atletica, Settecolli di nuoto si fanno qui perché ci sono gli impianti. Il resto è terra di nessuno. C’è il derby della Formula Uno tra Monza e Imola, ci può essere pure sulle Maratone. Oggi l’unica città che può ospitare eventi internazionali al coperto è Torino, col Palavela».
A Roma, o meglio a Guidonia, in compenso ci sarà la Ryder Cup di golf.
«Un grande appuntamento, che servirà a promuovere uno sport erroneamente considerato d’elite e che invece è il quarto più praticato nel mondo».
Da sportivo e “fiumarolo”, ce l’ha un’idea per il rilancio del Tevere?
«Va destinato il più possibile all’attività sportiva ecosostenibile, vanno manutenute le due rive, va fatta una vera ciclo/pedonalizzazione».
La vedremo mai con la ramazza in mano?
«Tutti sanno che quando giro per l’Aniene, se trovo una cartaccia la butto nel cestino».
 
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