OWENS, IL MITO EROE DEL TEMPO

OWENS, IL MITO EROE DEL TEMPO
3 Minuti di Lettura
Lunedì 25 Maggio 2015, 06:14 - Ultimo aggiornamento: 26 Maggio, 06:07
L'IMPRESA
ROMA Jesse Owens ha cambiato l'atletica portandola nel futuro. Jesse ha vissuto il giorno dei giorni il 25 maggio di ottant'anni fa nei 45 favolosi minuti dei suoi cinque primati mondiali (e un altro eguagliato) ad Ann Arbor, nel Michigan. Owens è il simbolo dello sport universale, contro ogni pregiudizio razziale quando, un anno dopo, nella sua settimana d'oro, ha vinto quattro volte ai Giochi di Berlino davanti a Hitler. Un talento straordinario il suo che lo ha fatto viaggiare nel futuro anche se la sua vicenda sportiva è terminata presto, a soli ventitrè anni, per scegliere altre strade, più remunerative avendo una famiglia da mantenere. Questo gli ha consentito di non conoscere la parabola discendente. Dopo lo sport, l'uomo nato sotto il segno della Vergine, amante del lavoro e dei grandi progetti, diventato per tutti l'Antilope d'ebano, si è esibito contro cani, cavalli, anche motociclette.
LA LEGGENDA
Che giorno quel giorno davvero da leggenda. Parliamo del 25 maggio del 1935 quando il giovanotto non era neppure nelle migliori condizioni fisiche. Aveva male alla schiena: chissà, forse era caduto dalle scale o, forse, si era infortunato giocando una partita a football con gli amici. Ma alle finali delle Big Ten, lo scontro tra le dieci università più importanti del centro est degli States, non poteva mancare. Qualificazioni senza forzare il sabato 24, il minimo per gareggiare nelle finali.
La mattina dopo, appena sveglio, Jesse era bloccato. Poi, come d'incanto, quando alle tre e un quarto del pomeriggio davanti a diecimila spettatori ha scavato le buchette per la partenza (non c'erano, allora, i blocchi) il dolore è svanito. Un miracolo che lo ha visto correre in 9”4 (uno dei tre cronometristi gli ha dato 9”3), tempo che eguagliava il primato del mondo del sudafricano Danis Joubert nel 1933. Si sentiva bene, Owens, era sano e senza dolori. Dieci minuti più tardi, un passaggio sulla pedana del lungo per un salto in attesa di correre le 220 yards. Cosa combina il giovanotto? Un balzo pazzesco, 8.13, primo uomo oltre gli 8 metri, ovviamente record del mondo (che era 7.98 del giapponese Chuehei Nambu) che durerà venticinque anni, fino al 12 agosto 1960 quando Ralph Boston è atterrato a 8.21.
Altri 10 minuti per andare al via delle 220 yards in rettilineo (201,17 metri), e vincere in 20”3, tre decimi meglio di Ralph Metcalfe, record che valeva anche sulla distanza metrica dei 200 metri. E siamo a quattro mondiali. Stanco? Macché, perché alle quattro in punto è tornato al via delle 220 yards, sempre in rettilineo, ma stavolta con dieci ostacoli: 22”6, e questa volta il progresso è stato di quattro decimi. Record del mondo numero cinque e sei visto che anche qui valeva sulla distanza metrica.
FIGLIO DI SCHIAVI
Il ragazzo figlio di schiavi - il papà era un bracciante - famiglia numerosa, nove tra fratelli e sorelle, nato in Alabama e cresciuto dall'età di nove anni nell'Ohio, a Cleveland, ha avuto nel coach Charles Riley, incontrato alla high school, il suo scopritore. Uscito dalla scuola con primati importanti (7.60 nel lungo, 9”4 nelle 100 yards, 20”7 nelle 220 yards in rettilineo) il giovane Jesse ha ricevuto la proposta di ben ventisette università. La scelta è caduta sulla l'Ohio University di Cleveland: vicinanza a casa e, soprattutto, un tecnico come Larry Snyder che lo ha migliorato.
La sua è una vera leggenda, un mito, quello di un lampo che ha attraversato l'intero panorama sportivo diventando un simbolo. È stato votato, nel 2000, il più grande personaggio sportivo del Ventesimo secolo perché lui non è stato solo il campione capace di migliore record: Jesse Owens è stato il simbolo contro il razzismo di Adolf Hitler lasciando un segno profondo. Premiato con la medaglia presidenziale della libertà nel 1976 da Gerald Ford e, quando non c'era più - è morto il 31 marzo del 1980 per un cancro ai polmoni - con la medaglia d'oro del Congresso da George Bush, Owens rimane un'icona che fa sempre sognare.
Carlo Santi
© RIPRODUZIONE RISERVATA