Tortu, un gene di famiglia: ​la dinastia arriva dalla Sardegna e conquista il mondo

Tortu, un gene di famiglia: la dinastia arriva dalla Sardegna e conquista il mondo
di Piero Mei
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Domenica 24 Giugno 2018, 09:30
Non c’è un “metodo Tortu”, cioè un codice d’allenamento che sia un breviario che papà Salvino possa consultare e pedissequamente applicare all’allenamento di un ragazzo normale, qual è suo figlio Filippo, l’azzurro ventenne che ha appena corso i 100 metri più velocemente di quanto non abbia mai fatto Mennea e che dunque, primo italiano e terzo europeo bianco, è sceso sotto i 10 secondi, 9.99 l’altra sera a Madrid. C’è, piuttosto, e questo è sicuro, un “gene Tortu”, un dna che “corre per li rami”: perché in casa Tortu hanno sempre corso, corrono e probabilmente correranno. Ha cominciato il nonno di Filippo, che si chiamava Giacomo come il nonno suo (e come il fratello maggiore di SuperPippo: le radici, la Sardegna, ancora una pianta di liquirizia sul balcone per sentirne sempre il profumo) che aveva messo su a Tempio Pausania, nell’Ottocento. Nonno Giacomo, classe 1926, avvocato, sprintava in 10.9, crono da primo turno superato alle Olimpiadi di Londra ‘48, fosse stato in pista. E non era certo facilitato da infrastrutture né dispense: faceva solo sport.. Papà Salvino, classe 1959, correva, da ragazzo, in 10.6. Per uno che a Tempio Pausania, dove non c’erano piste di atletica e neppure rettilinei più lunghi dei 100 metri e quindi era costretto ad allenarsi lungo i binari del treno, in quella specie di sentiero sterrato che si formava nelle campagne a fianco delle rotaie e che era piallato dalle camminate degli agricoltori, dei pastori e dei paesani, il crono era tutt’altro che da buttare via. Poi Salvino venne “in Continente”, come si diceva una volta, a Roma, a studiare giurisprudenza alla Sapienza: s’è laureato, ha passato l‘esame da procuratore («Il primo turno», scherza), l’atletica è diventata un ricordo che è riemerso anni dopo, correndo da master. Di successo: «Sono andato meglio da master che da giovane», scherza ancora. 

L’ELOGIO
E’ riemerso specialmente quando hanno cominciato a sgambettare Giacomo e Filippo, i due figli che Salvino ha avuto da Paola e che, cambiato il mondo dell’atletica come tutto il resto del mondo, ora non fanno sport come nonno Giacomo o come papà Salvino: fanno gli atleti. Magari con quella leggerezza e quel disincanto che erano di Livio Berrutti, per restare nella pista, piuttosto che con quel fondamentalismo da sacerdote che fece di Pietro il Mennea che sappiamo, il magnifico Mennea che sappiamo. Salvino li ha allenato tutti e due, con la filosofia che «è meglio un motore ben registrato che una potenza pura senza controllo». Poi Giacomo l’ha mandato altrove «perché gli dicevo troppo spesso ‘hai sbagliato’ e questo comprometteva il rapporto padre-figlio, che è già difficile a volte di suo, figurarsi a metterci di mezzo cronometri e ripetute. Anche Giacomo, che ha cinque anni più di Filippo e ne è modello e idolo, è un buon atleta. C’è solo una cosa sulla quale papà Salvino non avrebbe concesso spazio: il tifo calcistico. Juventino o niente, come Cesare o nessuno. E SuperPippo (elogiato ieri dal ministro dell’Economia, Tria: «Un’impresa eccezionale che conferma in campo sportivo l’eccellenza della Guardi di Finnanza») diventò “gobbo”. Anche Salvino nello sprint ha un idolo. Qui sta la sorpresa: non è lo stimatissimo Berruti dall’elegante falcata, né Mennea, che però “ma di che stiamo a parlare? Il suo 19.72 è ancora record europeo! Da quasi quarant’anni nessuno è riuscito a fare meglio». Il suo idolo è un ragazzo francese che si chiama Cristophe Lemaitre, il primo bianco europeo “sub 10”, quando aveva vent’anni. Poi ha messo su chili di muscoli, come accade a molti atleti potenziati: «Guardate le medaglie che ha vinto» dice Salvino. Che però non vuole costruire un SuperPippo alla Lemaitre: «Ognuno è diverso ed ha bisogno di personalizzazioni» dice, non volendo essere immaginato come il presuntuoso Tortu che pensa di aver scoperto la pietra filosofale dello sprint, quella che trasforma i muscoli in oro. Lui, dopo un lavoro in Publitalia nel settore delle sponsorizzazioni sportive, si dedica a questa attività di cui è innamorato in quel di Giussano, dove «devi pensare a correre più veloce che puoi». Il che il ragazzo fa. Come suo fratello. Come suo padre. Come suo nonno.
 
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