Al Madison di piazzale Manfredi Azzarita va in onda la guerra santa dei (non) pezzenti, viene in mente un verso de L’Avvelenata di Francesco Guccini. Qua ci sono i soldi, non più di Giorgio Seragnoli nè di Marco Madrigali, che vissero l’epopea di basket city ma di proprietà larghe, che garantiscono solidità, dopo i fallimenti o simili degli improbabili Sacrati e Martinelli e o soci.
Qua le feste proseguono per l’intera notte, c’è la metà di Bologna molto più passionale che accarezza la vittoria sfuggita ai supplementari per l’Epifania. Il più è salire e, dicevamo, ne sale una sola e di nuovo potrebbe non essere una bolognese. “Cori e maschere notturne. Canto, discanto”, poetizza Ivano Fossati. E nella Dotta accade proprio questo, si canta a squarciagola, non come l’ex cantautore genovese, si godono due punti che valgono comunque non più del 5° posto e si spera nella finale playoff come derby. Ricordando quello scudetto che era già della Fortitudo ma arrise alla Virtus, 20 anni fa o giù di lì. E di nuova arriva in soccorso il verso di Guccini. Di Eskimo. O meglio di Bologna. “Busona. Bologna ombelico di tutto, mi spinge a un singhiozzo e ad un rutto”.
Il maestrone non ama il basket, ma in fondo neanche è felsineo, è modenese-pistoiese, con la sua Pavana.
Organizza la Fortitudo, perfetta, servono i caschi blu, per evitare che le centinaia di virtussini abbbiano la peggio, fra i 5500 del Dozza. All’andata con impianto da 9mila la Virtus aveva scelto di escludere molti giornalisti da Casalecchio di Reno, stavolta è andata meglio, per le scale ripidissime del centro. Da affanno vero, per chi non è allenato.
Kontatto Bologna-Segafredo 79-72: Know 16, Mancinelli e Legion 15, Ruzzier 12, Candi 11; Umeh 17, Rosselli 16, Spissu 15.
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