Santa Lucia, coach Castellucci: «Per avere un futuro servono giovani e sponsor»

Santa Lucia, coach Castellucci: «Per avere un futuro servono giovani e sponsor»
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Venerdì 20 Gennaio 2017, 19:26
L'incontro con il mondo della disabilità è stato quasi casuale. Fabio Castellucci, attuale coach del Santa Lucia Basket, nel 2007 si laurea in scienze e tecniche dello sport e inizia a collaborare con la facoltà di scienze motorie di Torvergata nella materia Metodologia dell’allenamento sport disabili. Lo stesso anno diventa il preparatore atletico della Lottomatica Elecom. Una sfida che in molti avevano scanzato ma che, invece, lui ha deciso di prendere di petto. Questo è stato il primo passo in questo mondo che ormai lo vede come uno dei migliori tecnici in circolazione.

«L'incontro con il Santa Lucia è avvenuto lo scorso settembre, quando il presidente mi chiede di diventare il coach della squadra. Per me è stata una emozione grandissima, il Santa Lucia è la squadra più famosa d'Italia e soprattutto uno dei punti fermi del movimento paralimpico italiano». 

Una sfida affascinante ma non certo semplice
«Sì, la squadra nasce con problemi economici importanti. Il primo passo è stato quello di fare crowdfunding attraverso retedeldono.it per reperire fondo. Oggi un minimo di garanzie le abbiamo grazie anche ad alcuno sponsor, ma stiamo già lavorando per il futuro».

Quanto manca a dire: "Ce l'abbiamo fatta?"
«Non so quantificare quanto manca per dirlo. Ma per quello che so la squadra va ancora alla ricerca di fondi per ultimare il campionato in corso. E dobbiamo pianificare la nostra stagione. faccio un appello a chiunque volesse aiutarci per dare un futuro lungo a questa società». 

Qual è la difficoltà più grande?
«La difficoltà più grande è quella di tenere alto il livello dei giocatori e del gioco, sapendo che questo roster è stato creata grazie anche a giocatori d'esperienza che hanno deciso di sposare il nostro progetto gratis. E poi bisogna lavorare molto sui giovani. Sono loro il futuro». 

Al momento come è compostra la squadra
«E' diviosa essenzialmente in due. Un gruppo formato da under 30 e poi quattro giocatori di grande esperienza. gente che ha giocato ad altissimi livelli e vinto tutto quello che c'era da vincere. Il nostro decano ha 48 anni. Vanno solo ringraziati per la grande mano che ci stanno dando».  

Coach ma al tempo stesso psicologo
«In alcuni casi si prova a dare una mano in più ai ragazzi, in particolar modo diventando dei punti di riferimento per i più giovani. Spesso mi ritrovo a parlarci e dargli risposte che vanno oltre il basket e il campo di gioco. In alcuni casi è difficile riuscire ad avvicinare persone cercando di permettergli di unire un post trauma al gioco del basket». 

L'Italia del basket in carrozzina a che livello è?
«Siamo ad un ottimo livello. Siamo nei primi 5\6 posti al mondo. Basti pensare che partecipiamo all'Europeo di fascia A. In Europa i migliori sono gli inglesi e nel mondo direi Usa e Australia».

Da cosa dipende questa dislivello?
«In America c'è una cultura sportiva enorme. In Australia e Inghilterra, invece, il governo stanzia molti fondi favorendo i progetti e permettono ai disabili di poter vivere bene, anche la previdenza sociale permette di avere un livello di vita superiore. E poi c'è una forte spinta per permettere ai ragazzi disabili d'incontrare lo sport. Anche in Italia nel tempo ho notato un cambio di tendenza con un'attenzione maggiore. Enorme il lavoro fatto anche dal Comitato Paralimpico e dalla FIPIC. Ma la strada è lunga».
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