Alessandri, un cinema Extra-Time
tra sogni e illusioni di due calciatori

Alessandri, un cinema Extra-Time tra sogni e illusioni di due calciatori
di Alessandro Monteverde
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Lunedì 20 Novembre 2017, 18:01 - Ultimo aggiornamento: 22 Novembre, 22:22
Il calcio tra sogni, sconfitte e possibili rivincite attraverso il racconto di due giovani promettenti calciatori arrivati ad un passo dalla gloria sportiva, ma costretti a rinunciare al loro sogno. Carlo Alessandri firma la sua prima opera da regista con il documentario Extra Time – un’altra volta felici, in cui il calcio diventa uno strumento per raccontare le vite di Matteo e Gianluca, le loro aspirazioni e illusioni svanite in un attimo, ma soprattutto la forza di ricostruirsi una nuova vita, nonostante la delusione e le difficoltà. Alessandri, capitano e portiere dell’Eretum Monterotondo, è uno di quelle persone in grado di sfatare il mito del calciatore appiattito ad una vita priva di interessi extracalcistici tanto da esser prossimo al conseguimento di un prestigioso Master in Management Sportivo presso la Luiss di Roma, oltretutto.

Carlo quando e come nasce la passione per il cinema?
«La mia passione per il cinema nasce da piccolino perché in casa nostra il cinema è sempre stato un momento di comunione. C’era questa bellissima abitudine di sederci dopo la cena con papà e mio fratello e vederci un film. Questo poi si ripeteva anche con nonno e mio cugino. In più casa è sempre stata piena di cassette e VHS, registrate o acquistate in abbinamento editoriale con le uscite di settimanali e altro. E soprattutto nasce dal fatto che Papà, cascasse il mondo, ci portava ogni fine settimana al cinema. Poi matura all’università dove scelgo di intraprendere un percorso in forme e tecniche dello spettacolo con la specializzazione in critica cinematografica anche se le mie tesi sono più incentrate sullo studio della drammaturgia teatrale perché un’altra mia grande passione è il teatro e la sua storia».

E l’idea di un documentario sul calcio?
«È frutto di una riflessione che arriva in una certa fase della mia vita in cui, più che un esorcizzare tutto un passato che non si è voluti accettare, si è arrivati alla serena consapevolezza che di calcio non se può fare a meno. Che lo sport ci ha cambiato la vita, migliorandola. E nasce tirando un po’ una linea da un percorso di vita, dove ho incontrato e capito che molte persone, come me, compagni di squadra o ex soffrono della stessa malinconia verso una carriera che non ci è potuta stare. Ma allo stesso tempo questo documentario, la nostra passione per il calcio diventa il motore per riaffrontare la vita con nuove consapevolezze, consapevolezza serene. La chiave di Extra Time va letta in una dimensione spazio temporale in cui metaforicamente si è ancora appartenenti alla partita, e ti da la possibilità di vincerla. Quello che non è arrivato nei novanta minuti ce lo so può riprendere nella vita altra. Consci dei molti insegnamenti e dei propri sbagli, magari trasmetterli alle nuove generazioni per non fare compiere a loro gli stessi errori che abbiamo fatto noi».

Ci racconti brevemente la trama di questa tua prima opera?
«È lo sviluppo di un tema, dove vengono presi a paradigma due percorsi calcistici differenti di due dei miei più grandi amici, Matteo e Gianluca. Vengono analizzati i loro tentativi di ascesa alla carriera facendo di entrambi una panoramica del loro percorso. Il documentario si sviluppa tutto facendo un montaggio delle loro due vite in quattro capitoli che sono il sogno, l’ossessione, lo smarrimento e l’extra time. Questi capitoli sono collegati dal trade union che è lo spirito ludico, giocoso e sognante del calcio. L’elemento di spensieratezza è rappresentato dalla compresenza di bambini, che giocano in uno stesso campo con Matteo e Gianluca senza che ci sia una vera e propria partita a significare che l’importante non è la competizione ma il divertimento. La passione che ci fa svegliare tutte le mattine e ci fa sentire calciatori a prescindere da tutto. Sullo sfondo c’è una provincia con dei siparietti e degli intermezzi recitati e scanzonati. Una provincia che all’inizio ti sostiene nel coccolarti ma poi sembra quasi godere nel comprendere che qualcuno di molto vicino a te non ce l’abbia fatta. Che poi è un po’ una sorta di sdrammatizzazione del “nemo propheta in patria».

Quali sono gli appuntamenti in programma?
«Siamo di ritorno dalla prima al Festival Internazionale di Milano per cui abbiamo l’esclusiva, dopo aver vinto le selezioni italiane per la sezione Sport Movies & TV arrivando in finale. Altri Festival come quelli di Palermo e Matera ci hanno anticipato il loro interesse. In mezzo ci saranno tanti appuntamenti, stiamo tentando di fare degli incontri congiunti insieme ad AIC e altri comitati o associazioni per mostrare il documentario a genitori e ragazzi e magari trarne dei spunti di riflessione. L’intenzione poi è quella di trasmetterlo prima di Natale a Monterotondo, che poi è la fonte idilliaca che ha ispirato il documentario».

La prossima opera sarà ancora sul calcio? Hai già in mente qualcosa?
«Ho altre opere in cantiere, di cui una è sempre sul mondo dello sport che sto progettando con due compagni che ho conosciuto al Master della Luiss. Ho un progetto scritto da me che riguarda sempre in modo satirico e ironico il mondo del calcio. Inoltre sto preparando una pièce teatrale che ha come spunto e tema di ispirazione il fantacalcio. Sto finendo di scriverli, due di questi sono a buon punto».

 
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