Cardiff, Principality Stadium: l'arena di principi, maghi e draghi con il tetto mobile “made in Italy”

Cardiff, Principality Stadium: l'arena di principi, maghi e draghi con il tetto mobile “made in Italy”
di Paolo Ricci Bitti
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Venerdì 2 Giugno 2017, 22:41 - Ultimo aggiornamento: 4 Giugno, 21:03

Tutto arci-stra-esaurito questa sera il Principality Stadium di Cardiff per la finale di Champions, ma nemmeno pagando un Perù si potrebbe comprare il biglietto per quella poltrona – la migliore, in pelle rossa, nel palco delle Autorità. Resterà comunque libera, a disposizione del Principe del Galles, William, il futuro Re d’Inghilterra, la cui madre, Lady Diana, anch’ella sempre in rosso, non mancava mai in questo stadio duranti i riti del Sei nazioni.
 



La capienza dell’ex Millennium (ma tutto lo chiamano ancora così, come venne battezzato all’inaugurazione nel 1999 ospitando i Mondiali di rugby) va calcolata infatti in questa maniera: 74.499 posti più uno, quello per il reale d’Inghilterra patrono della federazione gallese di rugby, proprietaria dello stadio più spettacolare del mondo.

A cominciare dalla posizione: così centrale che è come se a Roma l’Olimpico si trovasse ai piedi della scalinata di Piazza di Spagna. Un gigante in una capitale di appena 400mila abitanti che all’ideale incrocio fra cardine e decumano ha messo una cattedrale a fatica definibile laica, tanto il rugby è religione nell’unico paese che in fatto di fede ovale può rivaleggiare con la Nuova Zelanda. E speriamo che Dio Onnipotente non se ne abbia troppo a male della decisione di chiudere il tetto retrattile (per paura di un fantascientifico attacco terroristico a mezzo droni…) impedendogli così di vedere la finalissima fra Juventus e Real Madrid. Mah, forse non è neppure interessato: per i gallesi è il rugby lo sport che si gioca in Paradiso, certo somigliante alle loro verdissime valli.

Con il tetto mobile chiuso, i cui eleganti impennaggi bianchi costruiti dalla Cimolai di Pordenone sfiorano i palazzi o fanno ombra alle acque del gelido fiume Taff, il Principality diventa ancora di più una pentola a pressione che fischia a tutto vapore superando – e non si credeva possibile – la potenza dell’onda sonora che i gallesi, sempre e tutti in maglia rossa, innescavano all’Arms Park, lo stadio a ferro di cavallo entrato nel mito sulle cui ceneri alla fine degli anni 90 è sorto il Millennium, architettato non solo per garantire a tutti i 74.499 spettatori (più uno) una vista magnifica, ma anche come un’immensa cavea che ha già accolto gli U2 e Madonna. Un’acustica mirabolante, roba che pare quasi di sentire un tintinnio quando la monetina viene gettata sull’erba nel tondo di metà campo.

 
 


Il canto dei cori è, fin dalla scuola materna, un altro dei dogmi di Cymru (pronuncia “camru”, Galles in celtico), il regno dei draghi e dei maghi e persino gli All Blacks tremano quando da queste tribune a picco sul prato scende come un’inesorabile marea l’inno nazionale Hen Wlad Fy Nhadau, Land of my fahters, La Terra dei nostri padri. E si sente formicolare la nuca quando il canto viene doppiato dal maestoso Bread of Heaven, Il pane del Paradiso, e non si riesce a stare farmi mentre rimbomba tonante Delilah, magari cantata accompagnando il gallese Tom Jones con il daffodil (narciso) giallo all'occhiello della giacca. Ma tutto ciò non riguarda Juve-Real, qui ospiti solo per una sera, come da tempo ha cambiato aria la nazionale di Bale che non richiama abbastanza pubblico per stipare l’astronave i cui "passeggeri" - quelli delle prime file - possono toccare con le mani i giocatori grazie alla solita e completa assenza di barriere tra seggiolini e prato. E tra i settori dei tre vertiginosi palchi delle tribune. Tifosi della Juve fianco a fianco di quelli del Real. Una civile normalità che pare ancora remota nello scenario calcistico italiano. 

Tanti assi del pallone rotondo, allora, questa sera a Cardiff, ma niente principi, niente draghi, niente canti struggenti: a riposo anche Taffy, il candido caprone del Kashmir che sfila sempre davanti alla banda del Royal Welsh Regiment prima delle battaglie della palla ovale. Chissà, forse avrebbe fatto amicizia con la zebra juventina.

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