Disilluso così l’Atletico di Diego Pablo Simeone: perché tutta la tifoseria biancorossa covava un palpabile sentimento di vendetta dallo scorso 24 maggio, vale a dire dal giorno della finale persa a Lisbona. Nessuna rivalsa, invece. E adesso cresce il sogno madridista di conquistare la seconda coppa consecutiva, l’undicesima della storia del club. Imprese da record.
Al di là di Hernandez, il merito del successo se lo è guadagnato senza dubbio Ancelotti. Del resto, pur non potendo disporre di stelle come Bale, Benzema, Modric e Marcelo, il Real ha saputo proporre una manovra di qualità, esaltata dall’attenzione difensiva di Varane, coltivata dalle geometrie di James Rodriguez e di Kroos, raffinata dalla forza offensiva di Cristiano Ronaldo. E va sottolineato, ora e di nuovo, che già all’andata (0-0) il Madrid avrebbe meritato di vincere almeno con un paio di gol di vantaggio.
Insomma, il risultato si è allineato al dire del campo: e a nulla sono valse i pochi arrembaggi dei biancorossi, suonati soprattutto da Mandzukic. Certo, la pesante espulsione di Turan, giunta al 76’, ha inciso sull’esito della gara, e in fondo le grandi parate di Oblak non sono bastate. Ma, in Europa, il catenaccio «italiano» offerto gentilmente da Simeone non riuscirà mai a tenersi a galla per un lungo periodo. A stringere, è chiaro che la promozione del Real appaia legittima, e ricco sarà ancora il cammino. All’orizzonte si intravvede uno scontro fra titani con il Bayern Monaco di Guardiola o il Clasico con il Barcellona di Luis Enrique. Già sopravvissuto a mille duelli, Ancelotti conosce bene la via del successo. Era pronto a tutto, lo aveva promesso. E a tutti, e a sé, ha regalato una notte da ricordare, color meringa.
LA CRONACA