La Roma di Perotti: social, amore e fantasia

Perotti
di Alessandro Angeloni
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Lunedì 20 Novembre 2017, 10:34
«Nainggolan non è umano», confida Diego Perotti dopo l’ultimo derby. Ma perché lui lo è? Domanda da dieci milioni di euro (o dollari, forse fa più scena...) . Ad occhio e croce no, non è umano nemmeno l’argentino.
 


Radja sembra un tornado, lui un vento di passioni. Destabilizzanti entrambi. Entrambi calciatori social, ma questo conta meno. Postano video, selfie, un continuo. E tutti impazziscono, rispondono, si crea l’interazione moderna, che piace a tanti. E avanti così. Ma poi il ragazzo Diego non si perde solo nei post, ma piace per quello che fa in campo. Quella palla sempre incollata ai piedi, quegli occhi gonfi di tante cose, che ti guardano fisso, che ti inchiodano. Chiedere a Bastos, please. La condizione fisica lo fa volare, si è allenato dal primo giorno con Di Francesco, da Pinzolo, primi di luglio. Oggi, appunto, vola, sarà forse anche per quello. 

GENOA PER LUI
Contro il Genoa, l’ultima dello scorso campionato, segna la rete decisiva e vola verso la Sud come Bruno Conti stile anni ‘80. La Roma va in Champions e apre il cassetto dei soldi. Respira, vende comunque, ma respira. Lui diventa l’eroe di quel giorno, di quell’attimo e continua. Oggi, nuova stagione, tutto torna come ieri: titolare bloccato, esterno di fantasia, intermedio all’occorrenza. E piccolo bomber. Da uomo col tiro dello zero a zero (di gol non ne ha mai fatti tanti rispetto alle doti che madre natura gli ha messo a disposizione), ha cominciato a centrare la porta con una certa continuità. Ha fatto gol in Champions, continua a essere impeccabile dagli undici metri. «Quello alla Lazio è il più importante della mia carriera», ha confidato Diego. Perché ha capito cosa significhi il derby, quindi meglio un rigore qualsiasi in una sfida qualunque con la Lazio che non la rete al Genoa che ti ha dato la Champions e, come dicono gli spallettiani, il record di punti. Il gol al derby ti rende eterno, ovvio. 

DIEGO DI CRISTALLO
Diego è stato giovanissimo e la gioventù l’ha passata da predestinato, poi si è calato nel buio in quel triennio maledetto, dal 2011 al 2014, a Siviglia. Solo infortuni, il ragazzo è finito quasi in depressione. Stava per dire basta, non ne poteva davvero più. Poco prima, da predestinato, il Siviglia lo aveva blindato con una clausola rescissoria di 48 milioni, dopo la parentesi vissuta in infermeria, ha dovuto ricominciare da capo. Preziosi lo porta al Genoa per la modica cifra di 350 mila euro. A Genova è rinato con Gasperini, Sabatini lo ha regalato a Spalletti che ha tirato fuori da lui tanto di buono, ma non tutto. Spesso lo ha fatto arrabbiare ed è comparso il musino permaloso: tante panchine, pochissimo campo, rare soddisfazioni. Poi quel gol al Genoa, il suo Genoa. La svolta stava arrivando, ora vediamo i risultati concreti, ora che ha ventinove anni, l’epoca della maturità, della consapevolezza. «Questo sport mi ha fatto piangere molto, ma ora la mia rinascita è completa», uno dei suoi cavalli di battaglia. Raccontiamo la rinascita di uno nato con la 10 sulle spalle, qui ha la 8: quel numero era di Totti, non si è permesso di chiederlo. E allora ce l’ha sulla pelle, anche in onore di Diego Maradona, amico del papà e suo estimatore, anche da ex ct della Seleccion. Perotti è tornato a vedere i colori bianco e celesti della Nazionale dopo sei anni, frutto del lavoro svolto in Italia. Sabato ha festeggiato le 100 presenze nel nostro campionato e 19 gol. Quella dell’altra sera è stata la sua terza rete alla Lazio: una da genoano, due da romanista. Quattro le reti segnate in questa stagione. Quattro. Poche per uno come lui. Perché in quei piedi si nasconde un talento, sbocciato definitivamente. Dopo il pianto da adolescente.
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