Soprattutto per quanto di bello fatto vedere fin qui dai ragazzi di Inzaghi che di diritto meriterebbero un posto sul podio del campionato. Ma alla Lazio, da sempre, nessuno regala mai niente e così sarà battaglia fino all’ultima giornata. Resta del rammarico per quei punti persi scioccamente per strada e per quelli tolti dagli errori arbitrali.
LIBERTÀ
Oggi come allora la squadra si aggrappa alla nuova luce di cui brilla Felipe Anderson. La stessa che allora illuminò la via da seguire. L’accelerazione fulmina a centrocampo, il tocco rapido a saltare Maksimovic, il colpo da biliardo tra tre uomini e la palla che s’infila all’angolo destro della porta di Padelli. Un raggio di sole che fece sbocciare la Lazio a primavera. Un gol che è rimasto nel cuore di Felipe: grande in una grande Lazio. In casa ha una gigantografia di quell’esultanza. Una corsa ad abbracciare idealmente i tanti tifosi biancocelesti. Dopo un inizio nero ecco nuovamente i colori. L’infortunio è alle spalle così come la saudade e le incomprensioni sul ruolo. Felipe è un anarchico e come tale non ama le regole. Preferisce infrangere i muri con la fantasia dei dribbling e la purezza della corsa. «Correre, correre, rapido, rapido» scriveva qualche giorno fa sui social network. Non vuole perdere il passo. E’ il suo momento e lo sa. Brucia le tappe per riprendersi quanto perso è il suo obiettivo. Ora che il bianco e nero ha lasciato spazio ai colori. Al ritmo di quel samba che lo fa sentire a casa. In famiglia. L’onnipresente sorella e ora anche la mamma è venuta a Roma per coccolare quel brutto anatroccolo che solo ogni tanto si ricorda di essere un cigno.
CRESCITA
Tre gol e sette assist non sono pochi per uno che è tornato in campo a metà dicembre (curiosità proprio in quel Toro-Lazio dello scandalo). In Europa ha trascinato quasi da solo la squadra ai quarti: decisivo con Steaua Bucarest, Dinamo e Salisburgo (andata). A detta dei compagni, è il più forte per distacco. Deve convincersene per primo lui, solo così potrà dimostrarlo finalmente al mondo. Quattro partite per riuscirci. Inzaghi non può e non vuole più rinunciarci. A patto che Felipe usi la testa. Molto spesso sotto quei ricci si sono annidati troppi «Io vorrei...non vorrei... ma se vuoi» che ne hanno condizionato la crescita. Niente più scuse da qui in poi perché, Felipe «questo è il tempo di vincere anche con te».
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