Lucio, l'addio alla Roma è da record

Monchi, Spalletti e Baldissoni
di Ugo Trani
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Lunedì 22 Maggio 2017, 07:30 - Ultimo aggiornamento: 12:17
Nessun titolo, ma en plein di record. A Spalletti potrebbe bastare l’ottimo rendimento in campionato (non certo quello nelle coppe) per chiudere la sua seconda avventura a Trigoria. Ovviamente battendo domenica il Genoa già salvo all’Olimpico e salendo a 87 punti, nuovo primato della Roma.
 
Come a dire: più di così, non si può fare. Oggi è il massimo, anche perché mai, durante l’éra Usa, i giallorossi sono stati così vicini alla vetta della classifica e soprattutto alla Juve che ha appena festeggiato il 6° storico scudetto di fila. Pallotta, insomma, è pronto a cambiare di nuovo l’allenatore: sarebbe il 6° dall’estate del 2011.

ULTIMA RAFFICA
«Vedrà che sono corrette tutte». A Verona, dopo la manita al Chievo, ecco che Lucio ha messo in guardia l’interlocutore in diretta tv. Gli ha consigliato di non buttare nel cestino le dichiarazioni dei mesi scorsi. Come a ricordare che non ha mai bluffato, soprattutto con la piazza: cioè che sarebbe andato via, se fosse rimasto a mani vuote. Non fa niente che, di recente, ha dato forza al 2° posto che garantisce l’accesso diretto alla Champions e quindi ricchezza al club: «È il nostro scudetto». Al Bentegodi, però, è andato oltre. Sulla correttezza avuta verso la Roma: «A qualcuno qualcosa l’ho dovuta dire, ci sono i ruoli». Avrebbe avvertito il management del presidente. A Trigoria glissano sull’argomento, anche perché il 2° posto, dopo il successo del Napoli contro la Fiorentina, resterà in bilico fino al traguardo. Non ha, però, fatto piacere a nessuno sentirlo pentito, a San Siro dopo il successo contro il Milan, per aver accettato l’incarico nel gennaio del 2016: «Se tornassi indietro, non allenerei mai la Roma». La società non ha gradito, pur avendo capito che il toscano, da tempo, sta pensando al nuovo divorzio. E si è mossa. A prescindere dall’attestato di stima che il ds Monchi, nel giorno del suo insediamento, ha rivolto all’allenatore, sapendo che avrebbe potuto aspettarlo.

LISTA APERTA
Così come sta facendo con Emery. Sabato sera, a Saint Denis, il Psg giocherà da favorito la finale della Coppa di Francia contro l’Angers che nella Ligue 1 si è piazzato al 12° posto. Il successo, però, potrebbe non essere sufficiente allo spagnolo per essere confermato fino alla scadenza del contratto (30 giugno del 2018), dopo le due grandi umiliazioni stagionali: il 6 a 1 subito in Champions al Camp Nou contro il Barça e il campionato lasciato al Monaco. La prima alternativa a Emery è probabilmente Paulo Sousa che piace ai dirigenti italiani. Di Francesco, bloccato da qualche settimana, rimane in corsa. Non sarebbe la sorpresa last minute, ma forse è l’opzione di scorta.

ANNATA DA EQUILIBRISTA
«La penna per la mia firma ce l’hanno in mano i giocatori». Spalletti ha vissuto la sua stagione in perenne contraddizione. Almeno quando è stato chiamato a comunicare e soprattutto a chiarire come si sarebbe comportato a fine campionato. E riavvolgendo il nastro, cioè rivisitando quanto detto dal toscano in pubblico, diventa semplice notare come sia subito salito sull’altalena senza più scendere. Quel «resto solo se vinco» è ancora d’attualità: può mantenere la parola, perché il 2° posto non finisce in bacheca. Così come lo è quel «Totti è un genio, se smette a fine stagione, io lascio la Roma» oppure «Francesco deve rinnovare questo contratto, se non firma vado via anche se vinco». Si è ripetuto più volte, sul possibile addio: «Il futuro è nelle mie mani, per restare devo vincere qualcosa» o «Se non vinco, è giusto che faccia posto a un altro, si va a casa». Se saluterà dopo Roma-Genoa, nessuno potrà accusarlo di mancanza di coerenza. Ma, alla vigilia della gara con il Chievo, ha tirato fuori l’orgoglio per difendere la sua panchina dall’assalto dei candidati: «Se loro vengono per prendermi il posto mi fa piacere: io devo essere più bravo di loro per mantenerlo». Addirittura ha guardato all’anno che verrà: «Vogliamo avere la possibilità di giocare nella competizione più bella del calcio, la Champions». Al tempo stesso, però, è tornato al passato. A quando, commentando un eventuale interessamento della Juve, si era dichiarato: «Sono un professionista, andrei ovunque». E venerdì, sempre soffermandosi sui possibili eredi, ha ammesso: «I nomi fatti hanno esperienza, titoli vinti e il blasone per essere i futuri allenatori della Roma». Si è anche tenuto aperto il cancello di Appiano Gentile: «Quello che sarà il futuro allenatore dell’Inter e il futuro allenatore della Roma non ce ne deve fregare niente...».
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