Il potere del pallone/ Federazione delle banane

di Giuliano da Empoli
3 Minuti di Lettura
Venerdì 29 Maggio 2015, 22:12 - Ultimo aggiornamento: 30 Maggio, 12:03
Ce l’ha fatta di nuovo, Sepp Blatter, l’inossidabile svizzero che governa da quasi vent’anni i destini del calcio mondiale.
Ieri è riuscito a farsi eleggere per la quinta volta alla presidenza della Fifa, nonostante un concorso di circostanze avverse che avrebbe stroncato il più spregiudicato dei protagonisti di House of Cards. Da una parte c’era l’ostilità aperta delle federazioni europee che è andata crescendo negli ultimi anni, fino ad arrivare alla minaccia di un boicottaggio dei campionati mondiali di calcio in Russia del 2018 in caso di riconferma di Blatter. Dall’altra, l’ondata di scandali che ha accompagnato il presidente fin dalla sua prima elezione nel 1998, culminata proprio qualche giorno fa nell’arresto, a Zurigo, di sette tra i massimi dirigenti della Fifa e nella messa sotto inchiesta, negli Stati Uniti, di altri sette per ricettazione e riciclaggio.

Eppure nonostante tutto il settantanovenne Blatter si è presentato ieri disteso e autorevole di fronte ai delegati delle federazioni di tutto il mondo. Consapevole di avere dalla sua parte la stragrande maggioranza degli africani e degli asiatici. E capace di galvanizzare ulteriormente i propri sostenitori con un discorso che mischiava l’orgoglio ferito del grande timoniere a oscuri riferimenti a complotti pluto-giudaico-massonici.

«Chissà come sarebbero andate le cose - ha detto - se non avessimo assegnato i mondiali del 2018 alla Russia e quelli del 2022 al Qatar», insinuando che le inchieste in corso in Svizzera e negli Stati Uniti abbiano motivazioni politiche, più che giudiziarie. Il calcio mondiale oggi è diventato soprattutto questo: non solo un enorme business (si sapeva), ma anche geopolitica, spionaggio, intrighi degni di un film di James Bond. E allora forse è normale che alla sua testa ci sia un grande vecchio che non sfigurerebbe in un romanzo di Le Carrè. Uno capace di triangolazioni vertiginose tra Putin, gli emiri del Golfo e chissà quanti altri poteri più o meno forti della globalizzazione emergente.

Gli italiani hanno avuto modo di sperimentare sulla propria pelle gli effetti del sistema Blatter. Prima con la vicenda sconcertante dell’arbitro Moreno in Corea del Sud. E poi con il rifiuto plateale, da parte del presidente della Fifa, di rimettere la Coppa nelle mani del nostro capitano ai Mondiali del 2006. Eppure, è difficile non provare una certa perversa ammirazione di fronte alla resistenza dello svizzero. Se Elias Canetti pensava che il potere fosse innanzitutto desiderio di sopravvivere, a tutto e a tutti, Blatter è l'uomo di potere per antonomasia. Colui il quale riesce ad imporre la propria permanenza indipendentemente da qualsiasi considerazione di merito e da ogni circostanza esterna.
Nei sistemi democratici è una razza in via d’estinzione, perché prima o poi arriva sempre qualcuno con più energia che ti fa fuori. Al giorno d'oggi, il sogno di ogni vero uomo di potere - quello di morire sul trono, circondato dai cadaveri degli avversari - ha qualche possibilità di realizzarsi solo nei sistemi meno trasparenti. La rielezione di Blatter ci conferma, purtroppo, che il governo del calcio mondiale assomiglia più a una repubblica delle banane che a un’autentica democrazia.