Per comprendere meglio, basta sorvolare i due incontri più recenti: la finale del Mondiale del 2010, risolta da un gol di Iniesta piovuto al 116’, e la gara valida per la fase a gironi del Mondiale del 2014, vinta, anzi stravinta dagli olandesi per 5-1. A Salvador, lo scorso 13 giugno, Xabi Alonso illuse la Spagna intera, poi nell’ordine van Persie, Robben, il futuro laziale de Vrij, ancora van Persie e di nuovo Robben restituirono la scortesia agli spagnoli.
Fu l’inizio di uno scollamento. A pensarci, del resto, cinque anni fa a Johannesburg le due squadre volavano pressoché alla stessa quota: altissima, davvero. Poi il loro sfrecciare si è attenuato: tanto che la vendetta consumatasi in Brasile lasciava presagire il tramonto di una certa Spagna e la possibile alba di un’Olanda vincente. E invece. Per paradosso, dell’esperienza mondiale ha beneficiato più la Roja di del Bosque che non la formazione oranje, al tempo affidata a Louis van Gaal. Perché adesso, a poche ore dal fischio d’avvio dello scozzese Collum, sembra proprio l’Olanda la squadra meno strutturata.
È vero, anche i campioni d’Europa spagnoli vivono un momento di ristrutturazione o, al più, di rigenerazione: ma di certo si sono allineati a una strada precisa per riuscire nell’intento. Al contrario gli oranje, per dire, hanno raccolto due vittorie, altrettante sconfitte e un pareggio nelle cinque partite delle qualificazioni europee fin qui giocate. È indubbiamente poco per una squadra da sempre accreditata di meraviglie. I problemi, per di più profondi, li risolvono sempre Huntelaar e Sneijder, due figure che vanno sfumando nel passato. Alla stampa olandese pare ormai evidente che il sentiero di riorganizzazione della nazionale non sia stato ancora inaugurato in via definitiva e convinta. Anche se profumata di nostalgia, la sfida di domani sera chiarirà.