Roma, un mistero buffo

foto Mancini
di Mimmo Ferretti
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Sabato 24 Febbraio 2018, 07:30 - Ultimo aggiornamento: 13:45

La Roma è un mistero buffo, anche se Dario Fo c’entra solo di traverso. Buffo perché strano, comico, grottesco, se non addirittura ridicolo. Trovate un altro aggettivo, del resto, per etichettare una prestazione ambigua, contraddittoria come quella di Kharkiv (e fosse stata la prima...)? Roma esaltante nel primo tempo; Roma deprimente nel secondo. Non è una cosa buffa? E, automaticamente, diventano bizzarri anche gli interrogativi che accompagnano una simile impresa.

CHI, COME E PERCHÉ
Questione di testa, di gambe, di fegato o di cuore? L’impressione che qualsiasi parte o organo del corpo vada bene per spiegare la faccenda va a scontrarsi con l’impossibilità logica che tutto possa andare bene. Perchè, per dirla in maniera facile, gli uomini, sia in campo sia in panchina, che nella prima frazione hanno dato spettacolo contro lo Shakhtar erano gli stessi (e contro lo stesso avversario) che nella seconda parte di gara si sono fatti prendere a pallonate. Non può essere, perciò, (solo) una questione di gioco. Forse di giocatori sì, magari vulnerabili sul piano fisico con il passare dei minuti. Ma possibile, a proposito, che a metà febbraio inoltrato la Roma non sia ancora a posto atleticamente?
La soluzione del mistero, forse, sta davvero nella testa degli uomini. «Il calcio non si gioca con i piedi, ma con la testa che muove i piedi», insegnano i vecchi maestri. Giusto. Vero. Cioè, se funziona la testa, funzionano anche i piedi. E su questo siamo tutti d’accordo, o no?
Resta da capire, però, come mai improvvisamente (ma in maniera tristemente continuativa) le teste dei giocatori della Roma vadano in tilt. Basta un minimo intoppo e tutto l’ingranaggio non funziona più. La Roma non va in crisi: esce direttamente dalla partita. Passare dal pro al contro, perdere il controllo di se stessi e della situazione è un attimo. E, allora, le cose sono due: o i giocatori lo fanno apposta (perché e contro chi, se mai?) oppure non ce la fanno a non farlo. Non hanno, insomma, la forza mentale per non cadere giù nel baratro. È buffo verificare che questo salto verso il basso (e, talvolta, con viaggio di ritorno) sia capitato spesso anche quando la Roma è riuscita a non perdere la partita. Ma i tanti, troppi black out nella ripresa (gli statistici ne hanno contati 8) stanno a confermare che la regola, e non l’eccezione, è ormai quella.
Se la Roma non sa gestire se stessa durante le partite, difficilmente potrà gestire la partita. Ma il carattere, il coraggio non si possono allenare: o uno ce l’ha oppure niente. Una squadra la puoi migliorare tecnicamente, tatticamente; puoi provare a darle più forza attraverso maggiori conoscenze, ma il cervello non è un muscolo che puoi sollecitare con uno sforzo fisico. C’è bisogno, se mai, di fargli immagazzinare nozioni, conoscenze appunto. Non è assolutamente un caso che le grandi squadre, quelle grandi davvero, siano o siano state composte da giocatori fortissimi (anche) sul piano mentale. Capaci, ad esempio, di sbrigare qualsiasi situazione in qualsiasi momento della gara. «Lavorare, lavorare ancora lavorare: conosco solo questa strada per risolvere i problemi», ripete in continuazione Eusebio Di Francesco. Chiedetevi perché lo fa.
 

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