Agnelli: «In Italia ci sono pochi presidenti 40enni, la Serie A andrebbe gestita come la Premier»

Agnelli: «In Italia ci sono pochi presidenti 40enni, la Serie A andrebbe gestita come la Premier»
di Luca Pasquaretta
8 Minuti di Lettura
Giovedì 12 Marzo 2015, 17:47 - Ultimo aggiornamento: 19:56
Il presidente della Juve, Andrea Agnelli ha concesso una lunga intervista al settimanale tedesco "Die Zeit". Diversi i temi toccati, dall'infanzia a Calciopoli, la famiglia Agnelli e il calcio, le riforme, cambiare il calcio italiano, dove la Vecchia Signora è sempre più protagonista.
Signor Agnelli, qual è il suo primo ricordo della Juventus?


"Nell’estate 1982 avevo sei anni e mio padre Umberto mi portò con sé al centro di allenamento. Fui invitato a pranzare con la squadra e mi chiesero vicino a chi volessi sedermi. Il mio desiderio era Paolo Rossi".




Il bomber della nazionale italiana della Coppa del Mondo del 1982, che segnò tre gol contro il Brasile e uno in finale contro la Germania.


"Rossi era in quel momento un nostro giocatore, uno dei sei campioni del Mondo della nostra squadra. In più c’era anche l’oggi Presidente della Uefa Michel Platini, appena arrivato. Io mi sono seduto a fianco di Rossi durante il pranzo ed ero talmente eccitato che non ho parlato. Ancora oggi ricordo quanto mi sono sentito fortunato".




Paolo Rossi era un dipendente della sua famiglia, proprietaria della Juventus dal 1923.


"Questo è il nostro record. Nessun altro club è stato così a lungo di proprietà di una famiglia. Gli Agnelli hanno acquistato il club fondato nel 1897 per offrire un intrattenimento ai lavoratori della Fiat durante la domenica. Attraverso il legame con la Fiat la Juventus è diventata il club con più tifosi in Italia, a nord come a sud".




Ci sono dei suoi parenti che non sono interessati dal calcio?


"Non solo questo. Ci sono anche membri della nostra davvero grande famiglia che sono tifosi di altre squadre. Oltre 13 mln di italiani sono tifosi della Juventus, quindi praticamente un quarto. Stimo quindi che gli Agnelli siano un po’ sopra la media".




E’ il quarto Agnelli a diventare presidente della società, prima di Lei suo nonno, suo zio e suo padre. Un Agnelli diventa automaticamente presidente della Juventus?


"Mi prende in giro? Oggi il calcio è diventato talmente complesso che una persona che diventa presidente di un grande club deve essere competente. Non è più sufficiente fare il presidente come hobby. Quando mio zio e poi mio padre diventarono presidenti, qui lavoravano solo sette o otto persone, che dovevano occuparsi quasi esclusivamente della squadra. Oggi, includendo giocatori e allenatori, ci sono 400 dipendenti. Di conseguenza gestiamo ricavi per almeno 300 mln di euro. Quando nel 2010 nella famiglia è stato deciso di prendere in mano il futuro della Juventus, sono stato scelto io per le mie conoscenze nello sport management".




E’ diventato presidente in un momento di crisi. La Juventus ha vissuto il 2006 come una profonda cesura. Il management è stato accusato di manipolazione degli arbitri, gli scudetti del 2005 e del 2006 sono stati revocati, la squadra, con tre campioni del Mondo, è stata fatta retrocedere in Serie B. A partire da quel momento si è occupato della ricostruzione del club. Perché insiste sulla riabilitazione?


"Riabilitazione non è la parola giusta. Noi abbiamo accettato la sentenza del diritto sportivo. Si è giunti alla sentenza decisamente molto velocemente, in un mese. Poi sono emerse nuove informazioni che non sono state prese in considerazione".




La Juventus chiede un risarcimento di 443 mln di euro


"La domanda è stata presentata tre anni fa. La cifra corrisponde al fatto che per due anni non ci siamo qualificati alla Champions League e che abbiamo dovuto rinunciare agli introiti conseguenti. In più sono state inserite le perdite riguardanti la vendita dei biglietti e i ricavi da diritti tv. Siamo in attesa che venga fissata l’udienza".




Come ha fatto a rilanciare la Juventus?


"Ho cambiato tutto il management. Conta solo la competenza. Il calcio è sempre più un business particolare. Il nostro prodotto sono i gol, nessuna svolta, è questo che fa la differenza. Mi aiuta sapere che esistono queste incertezze fin da bambino. Mi ha reso un po’ meno sensibile a questo. Fondamentalmente devo garantire il successo dell’azienda. Naturalmente il successo non dipende solo dai giocatori, anche se la parte sportiva rappresenta la colonna portante".






Da tre anni la Juventus è il primo importante club a giocare in un proprio stadio. Quanto è importante questo per Lei?


"Importantissimo. Lo stadio con 41.000 posti è quasi sempre esaurito, cosa non solo importante per i ricavi ma anche per l’aspetto psicologico della squadra. Abbiamo venduto 28.000 abbonamenti stagionali e l’anno scorso abbiamo ricavato 45 mln di euro. Abbiamo quasi quadruplicato i ricavi fatti nel vecchio stadio".




Lo Juventus Stadium è pieno, tutti gli altri sono molto vuoti. La Roma, i due club milanesi e il Napoli ricavano solo la metà. Perché?


"Quasi tutti gli stadi di serie A appartengono ai comuni e sono stati ristrutturati per l’ultima volta in occasione della Coppa del Mondo del 1990. Allora la maggior parte dei ricavi dei club provenivano dalla vendita dei biglietti, gli stadi sono stati costruiti da 70.000 posti. Poco dopo sono arrivate le pay tv. Le partite di serie A hanno iniziato ad essere trasmesse in diretta, a costi relativamente bassi. E gli stadi improvvisamente sono diventati troppo grandi".




Gli stadi italiani hanno un’età media di 64 anni. Gli stadi vecchi sono una delle cause della crisi del calcio italiano?


"Ne sono convinto al 100%".




O il calcio rispecchia soltanto la crisi economica generale? In alcune città un ospedale moderno sarebbe più necessario di un nuovo stadio di calcio.


"Il calcio non ha subito la recessione generale. Nonostante la serie A sia solo la quarta in Europa, i nostri ricavi televisivi continuano ad aumentare. Fino al 2018 i club di serie A riceveranno complessivamente circa un miliardo di euro all’anno. Chissà ancora per quanto questo potrà durare. Un proprio stadio significa un’economia duratura. Da solo il nostro museo è stato visitato da oltre 400.000 visitatori in due anni e mezzo. In più possiamo garantire una sicurezza maggiore ai nostri tifosi".




Come?


"Abbiamo installato nello stadio delle moderne videocamere di sorveglianza, che controllano quasi perfettamente le tribune. Un effetto di dissuasione purtroppo necessario: chi viene nel nostro stadio sa che non può provocare risse senza essere visto e punito. Vogliamo che vengano le famiglie, affinché vivano anche i ristoranti, i caffè e il Museo. Chi cerca scontri non utilizza i servizi offerti e allontana i buoni clienti".




In Italia siete i numeri uno sotto tutti i punti di vista, in Europa siete al decimo posto con un fatturato di 280 mln di euro.


"In questo momento ci sono quattro squadre che non hanno concorrenti: Real Madrid, Manchester United, Bayern Monaco e Barcellona. Sono seguiti da PSG e Manchester City, che però operano un doping finanziario, con i quali non posso concorrere. Il PSG appartiene a investitori provenienti dal Qatar e riceve 200 mln di euro ogni anno dall’ufficio del turismo degli Emirati. E dietro il Manchester City c’è un gruppo di Abu Dhabi. Se tolgo questi due club dalla classifica la Juventus sale all’ottavo posto. Il mio obiettivo è raggiungere il quinto posto in tre, quattro anni".




La Juventus è stata la prima in Italia ad aver portato un investitore straniero nel board, il dittatore libico Gheddafi. La sua società di investimenti Lafico nel 2002 ha assunto il 7,5% ed è diventato il secondo azionista dopo la sua famiglia.


"Ci sono legami storici tra l’Italia e la Libia e anche tra la Fiat e Gheddafi. Quasi nello stesso periodo in cui sono stati congelati i beni esteri di Gheddafi, tre anni fa abbiamo effettuato un aumento di capitale. Di conseguenza la percentuale di Lafico è scesa sotto il 2% della Juventus. E’ dal 2011 che nessuno si è più presentato all’Assemblea degli Azionisti dalla Libia".




Nel frattempo l’Inter ha un proprietario indonesiano e la Roma appartiene a un gruppo di investitori americani. Silvio Berlusconi vorrebbe apparentemente cedere il 30% del Milan in Tailandia. Anche nelle Leghe inferiori ci sono investitori stranieri. Il Venezia in Lega Pro ha un proprietario russo, il Pavia uno cinese. La Juventus resterà italiana?


"Glielo posso assicurare. Non mi interessa se gli investimenti nel calcio italiano provengono dal Piemonte, dal Friuli o dall’Indonesia. Abbiamo bisogno di persone che vogliano realizzare progetti a lungo termine. In James Pallotta, il presidente della Roma, abbiamo trovato un alleato. La sua squadra è nostra rivale nella lotta allo scudetto, ma Palotta e noi abbiamo una filosofia molto simile su come gestire un importante club europeo".




Lei, un Agnelli, ha la reputazione di essere un rivoluzionario. E' stato definito il capo dell’opposizione del calcio italiano.


"Non sono il capo dell’opposizione perché non esiste un governo. Senza dubbio ci sono delle differenze tra me e altri presidenti di club che si occupano del governo della Serie A. E quindi anche le opinioni sono distanti. Secondo me la Serie A in Italia dovrebbe essere gestita come la Premier League in Inghilterra, da persone che portano avanti l’intera Lega come prodotto. Con una strategia per lo sviluppo e l’esportazione del nostro calcio".




In Italia non è così?


"Da noi non succede nulla senza l’Assemblea dei Presidenti. La stessa Lega è debole, non ha nessuna autorità, né un proprio management. Questo porta ad una situazione meno trasparente, come ad esempio nel caso dei diritti tv. Di essi e del marketing della Serie A, si occupa Infront, azienda attiva nello sport marketing. Allo stesso tempo Infront si occupa anche dei diritti e del marketing di alcuni club di Serie A e della Nazionale. Questo porta inevitabilmente ad un conflitto di interesse".




Voi non siete così lontani dall’obiettivo del pareggio di bilancio. Ma molti club di Serie A sono molto indebitati. Tra essi il Parma sta per fallire. In tre mesi questo importante club è stato venduto due volte alla cifra simbolica di un euro. Recentemente i giocatori non hanno più potuto farsi delle docce calde e le panchine sono state vendute all’asta. Come è possibile?


"Il caso del Parma è solo la punta dell’iceberg. Negli ultimi quattro anni decine di società sono andate incontro al fallimento, ora il problema è peggiorato. Il fatto che un club possa arrivare fino a questo punto è frutto della cattiva gestione del calcio italiano. Qualcuno mi deve ancora spiegare come il Parma, al quale la scorsa primavera la Uefa aveva rifiutato la licenza per l’Europa League, potesse continuare a giocare così facilmente in Serie A".




Intanto è stato concesso al Parma un anticipo di 5 mln di euro con il quale la squadra potrà giocare almeno fino al termine del campionato. Ma questa tragedia naturalmente danneggia l’immagine del calcio italiano, così come il calcioscommesse e i casi di razzismo di alcuni tifosi.


"Quando si raccontano i casi doping, scommesse o il caso Parma, penso sempre all’immagine che voi in Inghilterra, Germania, Francia e Spagna avete di noi. Non mi preoccupa quello che l’Italia pensa dell’Italia, mi preoccupa tanto quello che gli altri pensano di noi. Poi i danni all’immagine dovuti agli scandali sono solo una parte dell’attività, che genera quasi il 2% del nostro PIL. Il calcio fa parte delle dieci più importanti industrie del Paese, le sole tasse pagate si aggirano attorno al miliardo di euro".




Quando questo vecchio sistema feudalistico del calcio italiano potrà essere superato?


"Stiamo facendo dei passi in avanti. Sicuramente dobbiamo cambiare alcune idee e comportamenti. Con poche eccezioni i presidenti dei club e i principali funzionari hanno 60-70 anni. Ci sono pochi quarantenni. Questo sta già cambiando in Italia. E’ il compito della nostra generazione non solo lasciare ai nostri figli un altro calcio, migliore e più trasparente, ma anche un altro Paese. Un Italia che continui ad essere attrattiva, stabile e competitiva".




Il 18 marzo la Juventus incontrerà il Borussia Dortmund negli ottavi di finale di Champions League. Come la vede?


"Siamo la Juventus. Dobbiamo vincere ogni partita".