È all'ombra quella targa a Formello: “Reja uomo derby”. Era stato riaccolto con un tappeto rosso, il goriziano. Quattro mesi dopo, perde crediti e accumula debiti. La Lazio lo risucchia di nuovo nelle critiche. Edy stavolta sembra più pronto, conosce l'ambiente. Eppure a fine stagione dovrà farne i conti: «Io resterò alla guida della Lazio». Non è certo la prima testa sul patibolo, ma anche l'allenatore finisce nel vortice della contestazione: «Non si può fare il salto di qualità con Reja», assicurano alcuni. Altri tifosi: «Con questa società, che non compra, rimane il tecnico migliore». Perché con squadre buone, mica squadroni, ha sfiorato due volte la Champions. E non solo: il gioco non sarà splendido, ma nel calcio contano i punti. E Reja anche stavolta ne ha racimolati 29 in 17 partite, 9 più di Petkovic. Che non valorizzava certo i giovani più di quanto non lo faccia Edy: con Vlado Keita non giocava, ora è titolare.
È cambiato, Reja. Regge meglio la pressione, è meno “ribelle”. Indigesto l'appello – in parvenza pro-Lotito – nella diatriba del “Libera la Lazio”. Edy voleva convogliare le energie per l'Europa League, spostare la tensione sugli arbitri “ospiti” all'Olimpico, creare un fronte comune. Perché la difesa è sempre stata la sua forza. Almeno all'inizio: nelle prime sei partite (Inter, Bologna, Udinese, Juve, Chievo e Roma) 3 reti subite, un media di mezzo gol incassato a gara; 3 vittorie e 3 pareggi, porta inviolata in quattro match. Da quel momento però, fino a oggi, la retroguardia è crollata: nelle ultime 6 partite, 12 le reti subite (media di 2 a incontro), addirittura 7 nelle ultime due con Napoli e Torino. Un'involuzione legata all'emergenza (nelle ultime quattro gare mai lo stesso quartetto). E ora Reja non ha più neanche il vento a favore.
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