Roma-Lazio, mezzogiorno di derby

di Piero Mei
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Mercoledì 27 Maggio 2015, 23:20 - Ultimo aggiornamento: 28 Maggio, 00:16
Mezzogiorno di derby sperando di spegnere il fuoco che negli altri orari, e nei giorni feriali (ma non solo), si accende intorno a Roma-Lazio, o Lazio-Roma che fa lo stesso: l’ipotesi di una collocazione ad orario fisso come lo sparo del cannone del Gianicolo sembrerebbe già una decisione, propedeutica a quella che verrebbe immediatamente dopo, il derby a porte chiuse per sempre. Una sconfitta per tutti: l’ordine pubblico e la sua gestione, la città e la sua gestione, il calcio e la sua gestione.
È una delle tante code che ha lasciato il derby per la Champions e non è di quelle dello sfottò, dai toni più o meno eleganti, il calcio non è un pranzo di gala, del guardare oltre per le due società e le due squadre. È la coda che più colpisce l’intera città, che tifi per l’una, per l’altra o per nessuna.
Non è davvero tollerabile (ma risparmiateci l’annuncio della tolleranza zero perché di solito non ha seguito percepibile) che una città sia messa nelle mani del “ball blocks”, i black blocks del pallone, che ormai sembrano senza patria, senza confini e senza tifo e pronti ad adunarsi dove li porta non il cuore ma l’occasione di una violenza senza punizione.
Non è tollerabile che una Capitale europea, che già ha la velocità commerciale chilometrica più lenta delle consimili con i suoi 12 chilometri e che ha 856 autoveicoli ogni mille abitanti venga tagliata in due dalle pure indispensabili chiusure di vie e piazze nella zona dell’Olimpico e che, depurata dal traffico ordinario che viene congelato ai bordi, questa zona venga in qualche misura consegnata alle scorribande di chi cerca lo scontro purchessìa, specie con le forze dell’ordine.
Che, avendo per l’appunto il compito del controllo dell’ordine pubblico, non possono essere dirottate tutte e solo su una partita di calcio, oltretutto con costi ingiustificabili per loro ed aggiuntivi per tutti noi che siamo lo Stato. I disordini sono usciti dallo stadio, questo va detto, almeno dallo stadio di Roma: magari sarebbe da ricordare a chi insiste a sproposito sulle presunte anomalie romane e romanesche i motorini volanti anni fa in quel di San Siro o le bombe carta fatte scoppiare fra la gente all’Olimpico di Torino.

Però qualche soluzione va trovata, prima che esploda la prossima volta e magari dopo danni maggiori, l’indignazione del giorno dopo. Non c’entra nulla la candidatura olimpica, giacché Roma ha dato prove organizzative che il derby dell’altro giorno non può guastare. C’entra la vivibilità dello sport più amato, vivibilità che passa probabilmente dalla cultura sportiva, dalle indagini sociologiche, da tutte quelle belle cose che si tirano in ballo in momenti così, nell’inutile che sposa l’ovvio, ma forse principalmente dalle regole, iniziando con il rispettare e far rispettare quelle che ci sono (il Daspo? europeo?).

Un po’ (un bel po’?) di scetticismo, però, accompagna l’ipotesi che il calcio trovi in se stesso qualche antidoto. Quale calcio? Quello dei governanti mondiali alcuni dei quali appena finiti in manette per vicende di corruzione legate all’assegnazione dei Campionati con un procedimento che è puntuale nell’uscir fuori due giorni prima delle elezioni?

Quello dei governanti italiani che si lasciano impunemente andare a dichiarazioni razziste o omofobe (l’Optì Pobà di Tavecchio, presidente Figc, o le quattro lesbiche di Belloli, presidente dei dilettanti)? Quello della compagnia di squadre di serie minori (e non solo) coinvolte nel calcio scommesse? Quello del commissario tecnico che dalla sua posizione invoca almeno la corsia preferenziale nell’essere giudicato sennò se ne va? Dell’ingiustizia sportiva? Della tecnologia off limits? E tutto questo per limitarci alla cronaca degli ultimi giorni. Tutto si tiene. O forse no: niente si tiene più.