Ma come gioca male questa Udinese, così difensiva, così poco coraggiosa. Come se l’anno scorso le cose fossero andate meglio. Tredicesimo posto, stenti, tormenti e il sostanziale benservito a Guidolin. Stramaccioni se l’era presa male. Nervoso, sabato in conferenza stampa, è sbottato quando gli è arrivata puntuale la domanda sull’addio di Moratti: «Mi sono stufato, non voglio più essere accostato all’Inter. Sono l’allenatore dell’Udinese e solo dell’Udinese d’ora in poi voglio parlare».
L’Inter è stata prima la sua delizia e poi la sua croce. Intendiamoci, ancora all’inizio di stagione Stramaccioni aveva voluto dedicare a Moratti l’ennesimo omaggio: «Sono una sua creatura. Quando mi comunicò che doveva vendere l’Inter capii che ero finito anch’io». Una mezza bugia. Se ne sarebbe andato in ogni caso: quei rovinosi ultimi mesi, fra rovesci in campo e liti con i giocatori, non solo Cassano, avevano compromesso ogni possibilità di conferma. Con o senza il suo mentore Moratti. Una brutta fine, tale da alimentare molti scetticismi sul suo futuro. Chi mai si sarebbe più affidato a quel raccomandato, uscito dal coniglio di Moratti dopo una banale trafila da tecnico dei ragazzi della Roma, un solo anno di Primavera all’Inter e senza nemmeno un passato da buon calciatore? Quanti invidiosi. Anche della capacità di Stramaccioni di bucare i teleschermi. E invece, dopo un anno sabatico, fra Italia e California, lezioni d’inglese, aggiornamento professionale e qualche commento televisivo ai campionati esteri, ecco arrivare la famiglia Pozzo a sdoganarlo e l’incredibile Di Natale, con i suoi gol infiniti, a prenderlo per mano.
Difficile capire adesso dove potrà arrivare questa Udinese. Certo, la squadra è solida e Di Natale eterno. Poi c’è Stramaccioni. Sembrava dovesse essere un’incognita. Finora è stato una valore aggiunto. «Il nostro obiettivo resta la salvezza» ribadisce. Almeno non lo accuseranno più di presunzione.
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