Giuseppe Vegas
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L’anno che verrà/La strada in salita e la spinta dell’urgenza

di Giuseppe Vegas
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Domenica 31 Dicembre 2023, 00:12 - Ultimo aggiornamento: 1 Gennaio, 22:42

Come il viaggiatore di Leopardi, anche noi ogni anno chiediamo al venditore di almanacchi se il prossimo sarà migliore di quello che lo ha preceduto. Anche noi ogni anno speriamo. Certo, se guardiamo allo scenario globale che ci circonda, le ragioni di ottimismo non abbondano. Ma, di là da tutte le prospettive fosche e dai pericoli che ci circondano, l’anno che verrà si presenta già oggi con una caratteristica particolare che è destinata a contraddistinguerlo. 


Il 2023 ha rappresentato, quasi teatralmente, una fase come di preparazione di un qualcosa destinato a realizzarsi in un futuro non più remoto, ma immanente. Nella quale si è respirata un’aria di sospensione in attesa degli eventi. E in cui gli attori principali hanno preferito adottare una politica sostanzialmente attendista, preferendo aspettare per valutare l’evolversi della situazione. Ma ora è giunto il momento di assumersi delle responsabilità più precise. Ecco perché il 2024 si presenta come l’anno delle scelte.

Scelte quasi obbligate, dunque, almeno quanto alla loro necessità. Certo nulla assicura che saranno le migliori. Ma il fatto che l’animo umano dia costantemente il meglio di sé nei momenti di difficoltà almeno ci garantisce circa la presenza di quella volontà positiva che, unita al coraggio, ci ha costantemente guidato per uscire dalle fasi di crisi. Scelte, dunque. Finalmente.


Nell’anno passato siamo stati spettatori di un mondo in rapida, e spesso inattesa e non desiderabile, evoluzione. A cominciare dalle guerre. In Ucraina e in Israele. Guerre che la parte del mondo in cui viviamo ha osservato con timore ed incertezza e non si è impegnata più di tanto, per paura di esserne troppo coinvolta o di subire danni economici.


Abbiamo osservato da lontano e senza reagire la costituzione di un nuovo fronte, composto dai cosiddetti ex Paesi non allineati, che però questa volta ha incluso anche realtà molto allineate, che si è presentato da subito come antitetico ai valori e alla supremazia occidentale.


Abbiamo affrontato senza battere ciglio l’umiliazione di passare sotto le Forche Caudine di chi non rispetta i diritti umani solo per brama di guadagno. Abbiamo tollerato invasioni e minacce di aggressioni in territorio altrui, come in estremo oriente, perché l’aggressore è ormai troppo grande per poter essere fermato. 
Abbiamo delegato fuori confine la produzione di tutti i beni materiali che ci necessitano e ne abbiamo ricavato scarsità di beni e inflazione. Abbiamo abbandonato il controllo delle rotte commerciali e anche gli Stati Uniti esitano a mantenere il loro ruolo di polizia internazionale. Nel fondamentale processo della decarbonizzazione non siamo riusciti a coinvolgere i maggiori danneggiatori dell’ecosistema e non abbiamo il danaro necessario per riconvertire le nostre abitudini.


Se poi guardiamo allo specifico del Vecchio Continente, ci dilaniamo tra europeisti e sovranisti, indecisi sul se e sul come riuscire a fare l’indispensabile passo avanti verso una Unione Europea che rappresenti una vera federazione di Stati e dia un’anima all’attuale informe aggregazione di contrapposti interessi. 
Nel frattempo, ci balocchiamo nella definizione di regole contabili che o saranno troppo rigide, e penalizzeranno il tasso di sviluppo, o saranno troppo lasche, e porteranno alla disgregazione della comunità economica.

Facendo finta di non vedere che il vero problema da affrontare è quello dell’indispensabile livello omogeneo della tassazione in tutta Europa.


Se guardiamo poi al nostro orticello, non possiamo non constatare che, come generalmente accade nei periodi di transizione politica, è difficile realizzare ambiziosi cambiamenti di “sistema” lavorando “al margine” delle regole esistenti. Soprattutto quando ci si propone di far maturare un nuovo e diverso approccio culturale alla gestione della cosa pubblica, non ci si può accontentare di “limare” qualche finanziamento o di definire coraggiosa la politica di allargare qua e là i cordoni della borsa.

 
Certo, mancano le risorse per soddisfare tutti i bisogni. E siamo consapevoli che spendere in deficit non è bene. Ma non si deve dimenticare che, per costruire un terreno fertile per far crescere adeguatamente il Paese e il benessere dei nostri concittadini, è indispensabile rendere finalmente aperta e concorrenziale la nostra economia. 
Liberalizzare i mercati, definire un sistema non soffocato da una miriade di regole che poi concretamente non si riescono ad applicare, modernizzare la pubblica amministrazione, abbassare il costo degli apparati pubblici e aprire ai privati la gestione di molti pubblici servizi e, infine, riformare profondamente una giustizia medioevale, dovrebbero costituire i fondamentali e urgenti obiettivi per trasformare il Paese, renderlo attrattivo e porlo nelle condizioni di correre alla stessa velocità degli altri.


Il 2024 sarà un importante anno elettorale in tutto il mondo. Usa, Europa e Taiwan sono solo la punta dell’iceberg. Molti sono spaventati per le possibili scelte dirompenti che potrebbero emergere dalle urne. Si tratta di un pericolo reale. Ma è proprio il terreno di gioco in cui i sistemi democratici, che oggi sembrano aver perso il generale apprezzamento da parte delle opinioni pubbliche occidentali, sono, per loro natura, in grado di far germogliare le scelte migliori.


Ci aspetta un periodo difficile, di decisioni che condizioneranno la nostra vita nei decenni futuri. Ma proprio la loro importanza e la consapevolezza che il tempo della contemplazione e dell’incertezza è finito, le renderanno più facili.
La disgregazione sociale, l’apparente disinteresse per la vita comune e lo svilimento della classe politica a cui assistiamo possono far sembrare più complicata l’opera di definire in tempi rapidi i parametri del nostro futuro. La storia ci insegna però che, quando Annibale è alle porte, gli uomini di buona volontà riescono sempre ad operare per il bene comune. Se non ora, quando? 

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