Così, allineando un gradino alla volta, Ranieri, ex «aggiustatore», ha costruito una scala verso la meraviglia, dimostrandosi perfetto teorico della politica dei piccoli passi. Ha raccolto 22 successi in 36 partite di campionato e ha lasciato fluire un mare di entusiasmo infinito. Da ogni lato dell’Europa sono piovute manifestazioni di affetto e di tifo nei confronti delle Foxes. Addirittura al principe William è piaciuto appassionarsi al capolavoro del Leicester.
Dopo Carlo Ancelotti e Roberto Mancini, anche Ranieri ha inciso il proprio nome nel libro dei tecnici italiani capaci di vincere la Premier League. Un club ristretto, ristrettissimo, eppure scintillante di nobiltà. Ma è chiaro che l’impresa del Leicester abbia una valenza e un peso particolari. In fondo, forse, la grande bilancia del calcio ha voluto restituire a Ranieri ciò che gli aveva sfilato. E qui, di sicuro, non si può dimenticare lo scudetto perso all’ultimo palpito nel 2010 da allenatore della Roma. Oppure le disavventure vissute da ct della Grecia, o a Valencia, come sulla sponda interista di Milano.
Dunque, il calcio ha pareggiato e compensato gli insuccessi di ieri con il trionfo di oggi. E, a rifletterci, dietro agli abbracci della festa e sotto alle lacrime di felicità, si affaccia ora una incontestabile realtà: Ranieri ha faticato, e tanto, nella propria carriera e in coda a quasi 28 anni di altalena ha raggiunto il più grande e il più alto degli obiettivi. Del resto ha debuttato in panchina da professionista l’11 settembre del 1988. Al tempo guidava il Cagliari in Serie C1 e quella domenica i rossoblù pareggiarono per 1-1 con il Monopoli in trasferta. Ne sono passate 1.442, di domeniche, da allora. Ventisette anni, sette mesi, due settimane e sei giorni, per l’esattezza.
Il Leicester non giocherà un calcio incantevole. Ma, si sa, di Guardiola nel mondo ne esiste solo uno. E, guarda un po’, da domani dovrà chiedere un consiglio proprio a Ranieri, se vorrà vincere la Premier League. Fiaba bellissima.
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