Francesca Fagnani, l'anticipazione del primo libro "Mala": la nuova mappa della criminalità romana

Anticipiamo un estratto del volume che esce per SEM il 30 aprile

Francesca Fagnani, l'anticipazione del primo libro "Mala": la nuova mappa della criminalità romana
di Francesca Fagnani
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Domenica 28 Aprile 2024, 00:03 - Ultimo aggiornamento: 08:09

Pubblichiamo un estratto dal primo libro di Francesca Fagnani “Mala. Roma criminale” che uscirà martedì 30 per Sem, giorno della quinta e ultima puntata di “Belve” su Rai2. Si tratta di un’inchiesta molto documentata che racconta l’epica nera delle leve emergenti della malavita romana: Diabolik, il cartello di Michele Senese, la mala storica e quella emergente. Fagnani (domenica 28 ospite di “Che tempo che fa” sul 9) presenterà “Mala” il 7 maggio a Roma, al Teatro Quirino, con la giornalista Fiorenza Sarzanini, il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, il procuratore aggiunto alla Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo, Michele Prestipino. 

Ostia è una città nella città, in cui da sempre gli interessi criminali sono fortissimi, soprattutto per la vicinanza al porto di Fiumicino e a quello di Civitavecchia dove arrivano in continuazione carichi di droga dal Sudamerica e dalla Spagna, ma anche per il turismo marittimo, per la presenza delle relative attività commerciali, di stabilimenti balneari e concessioni demaniali, e infine perché Ostia, dagli anni ottanta, è uno degli snodi strategici dello spaccio di stupefacenti della Capitale. L’epicentro è piazza Gasparri, circondata da estesi complessi di case popolari, che sono un’altra fonte illegale di guadagno.

I tanti interessi in gioco e la presenza sul territorio di numerose organizzazioni di diversa matrice – dagli epigoni della banda della Magliana alla mafia siciliana, dai Fasciani ai cugini dei Casamonica, gli Spada, dalle batterie dei napoletani a quelle degli albanesi e dei cileni, fino a vecchie glorie locali ancora saldamente in pista – hanno sempre determinato un equilibrio molto fragile, scosso da spinte conflittuali, perenni e carsiche, che in alcuni casi esplodevano in fatti di sangue eclatanti, in altri alimentavano guerre sotterranee a bassa intensità.
In più occasioni, nell’interesse comune e per il bene superiore dei traffici illeciti, si era reso necessario un intervento esterno da parte di chi aveva il ruolo e il peso per farlo. E a chi poteva competere questo ruolo se non a Michele Senese e Francesco D’Agati, per tutti zio Ciccio, gli unici che godevano del riconoscimento necessario per presentarsi in veste di mediatori e di garanti di un accordo mafioso?
Zio Ciccio, classe 1936, è il riferimento più importante di Cosa Nostra sul territorio romano. Fratello del capomandamento di Villabate e un tempo braccio destro di Pippo Calò, si era trasferito nella Capitale, sul litorale, esercitando da lì il suo controllo, per poi estendere la sua influenza su tutta la città. 

«Roma non vuole padroni» si è sempre detto, anche se la strada e le indagini raccontano tutt’altro, perché a prendere le decisioni più importanti, invece, sono sempre gli stessi. Sono loro a stabilire i carichi di droga e il prezzo per le piazze, a sancire le alleanze e a dirimere le controversie, a concedere protezioni o a revocarle. E quando questo accade può capitare che qualcuno fatalmente muoia.
Chi scrive ha incontrato al tavolino di un bar di Ardea uno dei due massimi plenipotenziari degli equilibri criminali romani e del litorale, l’altro ovviamente è Michele Senese.

Non è stato difficile trovarlo, perché anche i pali della luce in quel comune conoscono Francesco D’Agati, zio Ciccio, che infatti era lì, seduto accanto al suo elegante bastone da passeggio, in un bar dove veniva trattato con ossequio e rispetto.


Mi presento, gli dico che sono una giornalista e che sono lì per rivolgergli alcune domande. Lui acconsente e io apro il bloc-notes. Ha uno sguardo glaciale, i modi accoglienti e gentili, non è particolarmente loquace, si esprime con frasi velate che contengono e trasmettono tutto il senso in un giro strettissimo di parole.
 «Chi è Michele Senese?» chiedo.
 «Una brava persona» risponde zio Ciccio. «Il potere che ha è dato da una vita vissuta. Ha un carisma, un seguito, che usa nel modo più redditizio. In certi ambienti la stima degli altri non va comprata o omaggiata».
 «Comanda ancora lui?»
 D’Agati fornisce una risposta allusiva, ma il cui significato è chiaro, e potente: «Ci auguriamo che esca presto e che si inserisca in un contesto dove possa servire».
«E lei cosa ha rappresentato per Roma?»
«Noi facevamo paura senza vederci».
A quel punto gli chiedo quale fosse il suo giudizio su Diabolik.
«Il contrario di stima cos’è?» risponde lui impassibile con un’altra domanda.
«Me lo dica lei».
«Poco cervello», prosegue zio Ciccio parlando ancora di Fabrizio Piscitelli. «Ucciso da uno straniero. Sa cosa significa?» Allude al killer argentino, Raul Esteban Calderon, che ha sparato quel 7 agosto 2019 al parco degli Acquedotti.
«No, non lo so», rispondo. Quindi gli chiedo cosa intenda dire.
Questa volta D’Agati non usa giri di parole: «Che non conti niente, che sei poca cosa».
«Eppure Diabolik era stato garante a Ostia di una pace mafiosa, che mi dice su questo?»
«Che gli scontenti nella vita sono pericolosi… progetti ambiziosi senza barriere. Ci vuole pazienza, e saggezza».
«Che significa?»
«Che preferisco i fantasmi a una realtà così».
Il mio tempo è finito, non posso chiedere altro, qualcuno è arrivato a prendere zio Ciccio per accompagnarlo a cena. Mi saluta gentilmente e va via. Quando mi alzo per pagare la consumazione, il cameriere mi dice che è tutto offerto e che posso ordinare quello che desidero. 
Ringrazio e vado via.
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