Per ritrovare i quattro fratelli Macutuy - Lesly, Soleiny, Tien e Cristin, la maggiore 13 anni, la piccola solo un anno - le pattuglie di soccorritori hanno battuto la foresta amazzonica per quaranta giorni, hanno percorso 2.500 chilometri nella selva impenetrabile, spesso sotto la pioggia scrosciante, perlustrando 323 chilometri quadrati di giungla, pari all’intera provincia di Buenos Aires. L’hanno ribattezzata “Operazione speranza”, salvare i bambini sopravvissuti allo schianto dell’aereo sul quale viaggiavano con la mamma Magdalena, morta quattro giorni dopo l’incidente. L’esercito colombiano ha messo in campo le sue migliori forze, gli uomini non si sono risparmiati, ma senza le conoscenze degli indigeni probabilmente la selva sarebbe rimasta un muro impenetrabile.
La tartaruga
È una storia di conoscenze ancestrali che si mescola alla magia, quella raccontata da Juan Diego Quesada nel suo reportage per il quotidiano El Pais.
Nascosti per paura
I fratelli sostino in un rifugio costruito con foglie di banano e alcuni teli recuperati dall’aereo precipitato, sono malnutriti, disidratati, coperti di punture di zanzara. I putumayo li dissetano, li sfamano e li tranquillizzano, ma allo stesso tempo si premurano degli spiriti: spargono tabacco come offerta alla giungla, spruzzano i fratelli con dell’acqua per allontanare il Goblin. Per avvisare i soldati che i piccoli sono salvi, Dairo ricorre a un metodo antico quanto efficace: colpisce la radice di un albero, producendo un suono in grado di arrivare a oltre un miglio di distanza. Nessuno però risponde. Sono soli, sta per arrivare il buio, temono che lo spirito della foresta si riprenda i fratellini. Così ognuno si carica un bimbo sulle spalle e raggiungono il campo più vicino. È stato un miracolo e la tartaruga, ripetono i putumayo, ha fatto la sua parte. Non solo Lesly, Soleiny, Tien e Cristin sono rimasti illesi nello schianto del Cessna, sono anche riusciti a sopravvivere a una giungla infestata da giaguari, serpenti velenosi e piante tossiche. Le forze speciali della Colombia e le comunità indigene hanno attraversato metà foresta per salvarli, alla fine loro erano a soli cinque chilometri dal luogo dell’incidente. Come è potuto accadere? «Un’ipotesi è che i bambini abbiano evitato gli adulti per paura e siano rimasti in silenzio quando hanno sentito i passi dei soldati», spiegano i soccorritori. L’esercito ha inviato più di cento uomini delle forze speciali, si sono calati nella foresta da un elicottero armati di fucili M-4, bombe a mano, visori notturni e telefoni satellitare. Le armi erano necessarie nel caso di fossero imbattuti in dissidenti delle Farc, contrari al processo di pace e ancora in agguato nei luoghi più impervi del Paese. Per un mese i soldati perlustrano la selva, lavandosi solo con l’acqua piovana, senza farsi nemmeno un caffè per timore il nemico ne percepisse l’odore. Tutti i giorni un po’ di whisky viene versato nei fiumi per soddisfare gli spiriti della giungla: «Conducevamo le nostre ricerche, ma abbiamo anche rispettato le credenze indigene», sottolineano. «Abbiamo finito per credere a quello che dicevano i putumayo. Trovavamo le impronte dei bambini, non loro. Era come se qualcosa di soprannaturale li rendesse invisibili. Per la cronaca, io credo in Dio», afferma un militare.
Gli appelli
Lesly, nel frattempo, teneva in vita i suoi fratelli. Fin da bambina ha imparato a muoversi nella giungla, sa orientarsi con i pochi raggi che filtrano dagli alberi, individuare sentieri percorribili e rami spezzati che indicano il passaggio di altre persone, sa riconoscere le piante velenose. Ha costruito capanne con le foglie e i teli presi dall’aereo, sfamato i bambini più grandi preparando un impasto di manioca con la farina salvata dai rottami del velivolo, masticava la frutta per metterla in un biberon o in una bottiglia d’acqua per nutrire Cristin. Dice Pedro Sanchez, generale delle forze speciali: «Eravamo a quaranta metri dai bambini. Lesly ha sentito l’elicottero, gli altoparlanti che trasmettevano gli appelli con la voce di sua nonna, non so perché non ci abbia aiutato a trovarla più facilmente. Solo lei lo sa».