Crosetto: «Putin a Kiev? Improponibile. Se la Russia conquista l'Ucraina, nessuno si sentirà al sicuro»

Il ministro: «Lo Zar vuole tutta l’Ucraina. Chi ci dice che poi si fermerà?»

Guerra Ucraina, Crosetto: «Putin a Kiev? Improponibile. Se la Russia conquista l'Ucraina, nessuno si sentirà al sicuro
di Mario Ajello
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Lunedì 6 Maggio 2024, 00:34 - Ultimo aggiornamento: 12:12

Ministro Crosetto, mentre la Russia sta avanzando in Ucraina, sembrano esserci due Europe: quella dei volenterosi, cioè la Francia che vuole mandare le truppe contro Putin, e quella dei prudenti. Questa divisione non le pare un segno di debolezza?

«Non direi che esistono due Europe. Ci sono nazioni diverse che parlano in modo diverso. Il tema è che a non avere voce è semmai l’Europa. Non per mancanza di volontà ma perché non esiste un’Europa politica. C’è un continente che si è unito nel corso degli anni sull’euro e su alcuni interventi burocratici e poco altro, ma nelle scelte fondamentali e strategiche l’Europa non è altro che una sommatoria di volontà. Talvolta convergenti e molto spesso divergenti, dei singoli stati nazionali».

E più che un errore, è un crimine: non crede?

«Su temi rilevanti come questa guerra bisognerebbe superare gli egocentrismi. Ma, per farlo, serve intanto la volontà di mettersi d’accordo».

Con Macron non ci si può trovare perché è più bellicista che pacifista?

«Non amo le etichette. Secondo me, si può trovare un terreno comune anche con lui. Ma ha fatto una fuga in avanti che non so quanto giovi a lui stesso né quanto giovi a questa fase difficilissima. E’ una fase che richiede capacità di analisi, razionalità, competenza tattica e diplomatica. E’ un momento che non ha precedenti simili nella storia recente. Se dobbiamo cercare esempi che gli assomigliano, ebbene hanno avuto esiti drammatici: le due guerre mondiali».

Sta per accadere la terza, se i russi arrivano fino a Kiev?

«Se dovessero espugnare la capitale ucraina, si aprirebbe uno scontro drammatico. Ed avremmo la smentita totale di quelli che, anche da noi, ripetono: beh, anche la Russia ha le sue ragioni e in fondo voleva soltanto le due regioni dove si parla russo. Purtroppo temo che Putin voglia tutta l’Ucraina e in più nessuno ci assicura che si fermerà all’Ucraina.

E’ evidente che ha in mente un ordine internazionale, in cui chi è più forte, se e quando vuole, si prende le altre nazioni».

Non va dunque fermato, immediatamente, nei modi guerreschi che indica Macron?

«No, così rischiamo di arrivare al punto di non ritorno. Lo stesso che avremmo se Putin mettesse nel mirino anche i Paesi baltici o la Polonia, come non è affatto impossibile. A quel punto la Nato avrebbe l’obbligo, sancito dall’articolo 5 del patto atlantico, di schierarsi militarmente al fianco del Paese interno alla Nato che viene aggredito».

È uno scenario di guerra, che direttamente ci riguarda: lei quanto lo vede probabile?

«Sono ancora propenso a pensare che Putin non sia un folle totale. Spero di non sbagliarmi. Mi auguro insomma che non accada che la Russia si spinga oltre le follie che ha messo in atto negli ultimi due anni. Ciò detto, ripeto che le truppe ex sovietiche che arrivano a Kiev sarebbero un elemento totalmente destabilizzante per l’Europa e per il mondo. E porterebbero inevitabilmente a uno scontro con altre nazioni che non accetterebbero i carri armati russi al confine».

In Ucraina già ci stanno abbondantemente.

«Esatto. Un atto gravissimo e inaccettabile. Aiutare gli ucraini a difendere il proprio territorio era il modo più giusto per ribadire il diritto internazionale e più razionale per scongiurare una guerra mondiale».

Che invece può accadere perché noi europei siamo pavidi nel sostenere la resistenza di Zelensky?

«Da un anno vado dicendo che il risultato della guerra è la somma di chi ha più uomini e più mezzi. Non vince chi ha la verità o la giustizia dalla propria parte. Anche in solitudine, ho sostenuto, nei consessi internazionali e parlando con Zelensky quando è venuto a Roma, che la controffensiva ucraina non avrebbe avuto successo a causa della superiorità militare russa e sarebbe potuta essere dannosa per l’esito del conflitto. Ma non sono stato ascoltato». 

Pragmatismo per pragmatismo, ora nel nono decreto armi per l’Ucraina del governo Meloni che cosa ci sta?

«Non abbiamo che la possibilità di aiutare gli ucraini a resistere con ogni aiuto nei limiti nei limiti del possibile. Per avere il tempo e le condizioni di costruire tregua e pace». 

Come rimpinguare gli aiuti?

«Dei contenuti del decreto non dico niente perché, come tutti i precedenti, è secretato e ne posso parlare soltanto al Copasir. Quel che va chiarito all’opinione pubblica è che, nel campo militare, la capacità produttiva italiana ed occidentale è, com’è chiaro, di molto inferiore a quella del “lato oscuro della forza”: ossia della Russia, dell’Iran, della Corea del Nord. Loro si sono trasformate in economie di guerra. Le nostre economie per fortuna fanno altro. Ma dobbiamo porci il problema se vogliamo essere all’altezza della sfida tremenda che è stata scatenata. Gli Stati Uniti sono ben oltre il 3 per cento, nel rapporto con il Pil, per le spese militari. La Gran Bretagna ha appena dichiarato di voler superare il 2 e mezzo. La Polonia è al 4. La Francia e la Germania hanno raggiunto il 2. L’Italia è tra i pochissimi Paesi della Nato di gran lunga sotto l’obiettivo che tutti i governi di tutti i colori politici, succedutisi in questi anni, si sono impegnati a raggiungere. La mia è stata l’unica voce dissonante che ha detto alla Nato che, stante le condizioni del debito pubblico e le assurde regole della burocrazia europea inserite nel patto di stabilità, avremmo avuto difficoltà a raggiungere il 2 per cento che invece va raggiunto».

Quando lei sente che non si può raggiungere, perché verrebbero sacrificati i soldi per il welfare, che cosa pensa?

«Penso due cose. La prima è che le spese per la difesa vanno escluse dal calcolo del deficit proprio per evitare che incidano su altre. La seconda è che, senza difesa, come dimostra la vicenda ucraina, non esisteranno più welfare, sanità, istruzione, libertà. L’Italia deve assumersi la responsabilità e decidere che cosa vuole essere nel consesso internazionale. Vuole essere un Paese che conta? O un Paese struzzo che mette la testa sotto la sabbia e si affida al caso? Oppure vuole essere un Paese satellite che affida la sua sicurezza, ma anche la sua sovranità, ad altri?».

Cioè agli americani?

«Dipende. Agli americani per alcuni di noi. Ai russi o ai cinesi per altri di noi. Io sono per la sovranità italiana. La cosa surreale dei pacifisti è che accusano il governo attuale, e quelli passati, di essere sudditi della Nato, ma loro propongono altre sudditanze».

A proposito, il segretario generale della Nato, Stoltenberg, viene a Roma nelle prossime ore. Che cosa si diranno con Giorgia Meloni?

«Immagino che chiederà quali sono i percorsi dell’Italia per raggiungere il 2 per cento per le spese militari, che per la Nato è una pregiudiziale di cui si parlerà anche a Washington nella riunione dei premier dei Paesi dell’alleanza atlantica a luglio».

Intanto le sanzioni alla Russia non hanno avuto alcun effetto e Gazprom fa più affari che mai.

«Ma se non riusciamo neppure a tassare i giganti del web, che appartengono all’Occidente, come pensiamo di poter fermare economicamente quegli Stati, come la Russia, che oltretutto commerciano con tutto il globo nel quale l’Occidente è ormai una piccola parte?».

Dunque, ci siamo illusi sulle sanzioni?

«Tante volte noi ci comportiamo come se il mondo non fosse cambiato. Siamo come quei nobili francesi che non si accorsero che i loro palazzi non li avrebbero difesi da una nuova classe di affamati che stava per arrivare. Abbiamo sempre pensato che bastasse l’Occidente a fermare la Russia e le sanzioni sono figlie del fatto che siamo ancora fermi all’idea che il mondo sia il nostro mondo. Invece il mondo è molto più grande e anche questa crisi la risolviamo solo coinvolgendo tutti: prima con una tregua e poi con una pace». 

Guardi che Putin non ha mai dato segnali di voler trattare.

«È un buon motivo per impegnarci di più. Non dobbiamo mollare su ogni possibile percorso e pertugio, anche stretto, di diplomazia».

L’esercito europeo quando sarà pronto?

«Non a breve. Si tratta di dover connettere tutte le forze armate dei 27 Paesi. Un lavoro mastodontico in cui io credo moltissimo e che a livello di esercitazioni è già avviato. Ma per la fase operativa ci vorrà altro tempo».

Non dobbiamo accelerare, specialmente se arriva Trump?

«Se Trump dovesse arrivare, accadrà come la volta scorsa. Ovvero che i Paesi che non si assumono le proprie responsabilità nell’organizzazione militare verranno messi all’indice. In questa fase, che è più tremenda di quella di cinque anni fa, i Paesi che non raggiungono gli obiettivi rischiano di uscire dalla Nato».

Sta dicendo che ci cacciano?

«Non lo penso, anche perché l’Italia non sarebbe capace di difendersi da sola contro altri Stati. E poi perché noi cercheremo di rispettare gli impegni. Che non sono impegni di maggioranza, sono impegni di una nazione. Questo è un tema su cui ogni partito dovrebbe riflettere autonomamente, al di fuori delle sterili polemiche politiche per guadagnare un punto in più alle elezioni».

Intanto, Meloni assicura che non farà alleanze con la sinistra per la commissione Ue. Schlein dice mai in un governo brussellese con la destra. Così sarà?

«Ogni partito necessariamente dice quali sono le sue aspirazioni. Le mie sono quelle di una guida europea in cui le persone prigioniere dell’ideologia, come l’esponente socialista Timmermans, non abbiano alcun peso. Quella sinistra dell’ambientalismo ideologico, che ha ucciso le industrie europee e ha regalato alla Cina la supremazia nel campo automobilistico, spero venga mandata ai giardinetti a zappare le aiuole della decrescita felice, così loro sono pure contenti. Quindi puntiamo a una grande alleanza di centrodestra, poi - una volta che si sarà votato - vedremo che cosa è accaduto nelle urne e a quel punto ci muoveremo di conseguenza».

A lei quanto non piace Natanyahu?

«Non conta il mio giudizio personale. Conta il fatto che l’Italia, fin dall’inizio, è stata al fianco di Israele. Ma adesso siamo arrivati al punto in cui il governo di Netanyahu deve capire che non sono più accettabili tutte queste vittime civili a Gaza. In molti si stanno accorgendo che è il momento di combattere Hamas in un altro modo».

Non trova che Hamas possa contare su tanti sostenitori tra i giovani e i professori delle università italiane?

«La cosa che mi colpisce è che non ho mai visto una protesta studentesca contro la Russia. Forse perché i bambini ucraini sono considerati figli di un Dio minore».

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