LA TRADIZIONE
Un mistero per niente buffo: dietro alla solidità dell’Irlanda, dietro a quel suo sfuggirci a volte irriverente, c’era un rinnovamento che il movimento italiano poteva guardare con invidia non essendo ancora riuscito a replicarne almeno qualche aspetto.
All’avvento del professionismo (1995) Irlanda e Italia erano quasi alla pari sul campo nonostante i verdi contassero su un secolo di tradizione supplementare e 150mila tesserati (il triplo dell’Italia) su undici milioni di abitanti. In campo gli azzurri di Coste si imponevano già nel 1995 a Treviso e poi addirittura due volte nel 1997, prima a Dublino e quindi a Bologna. Poi però in quegli anni gli irlandesi hanno costruito una roccaforte i cui bastioni (le quattro selezioni provinciali) avevano già salde fondamenta. Da allora chi arriva in nazionale (unica per tutta l’isola) è sopravvissuto prima al setaccio dei club, poi a quello a dir poco feroce delle Province che tra di loro se le danno di santa ragione per poi dettare legge con regolare e magnifica frequenza nelle coppe europee. Agli ordini dei ct figura quindi un’elite a cui l’Italia ha iniziato a rispondere solo da quattro stagioni con due franchigie.
OLIMPICO
E solo l’anno scorso, nella prima sfida ospitata dall’Olimpico, gli azzurri, alla 14a occasione, hanno finalmente barrato la casella dell’Irlanda, adesso in lotta per il titolo. L’effetto 72mila spettatori qualche cosa conta di sicuro in quello storico 22-15.
La memoria di quella vittoria - ha detto il capitano Sergio Parisse all’indomani deltriste ko con la Scozia che lascia l’Italia al palo in questo Sei Nazioni - ci deve essere chiara. Abbiamo i mezzi per batterli e sta a noi trasformare in grinta la delusione per quest’ultima sconfitta.
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