Rugby, addio a Carlo Bruzzone, il veterano dei cronisti della nazionale che tenne testa a Woodward

Rugby, addio a Carlo Bruzzone, il veterano dei cronisti della nazionale che tenne testa a Woodward
di Paolo Ricci Bitti
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Venerdì 22 Aprile 2016, 17:17 - Ultimo aggiornamento: 23 Aprile, 12:26
Da qualche parte salterà fuori, quando non sarà cercata, quella foto di 18 anni fa che inquadra Carlo Bruzzone portato via di peso da due addetti alla sicurezza della sala stampa dello stadio di Huddersfield perché aveva dato giustamente dello "sleale" all'allenatore dell'Inghilterra, il futuro baronetto Clive Woodward che, anche prima del titolo nobiliare, stava sempre lassù in cattedra.

Il veterano dei giornalisti di rugby ci ha lasciato la notte a scorsa a Genova: aveva 82 anni e 234 caps, ovvero - nel mondo dei crionisti - aveva assistito e scritto di 234 partite della nazionale a cominciare, appena diciassettenne, da Italia-Spagna nella sua Genova nel 1951: in campo anche Paolo Rosi. E' un numero gigantesco, quel 234, perché nel dopoguerra gli azzurri scendevano in campo due e tre volte l'anno, altro che gli 11 match ogni 12 mesi di questo terzo millennio a cui "Brucar" non dava troppa confidenza continuando a fracassarci i timpani nelle sale stampa per dettare i suoi articoli scritti con la biro sul brogliaccio con impeccabile grafia da pennino e inchiostro. Già stride ricordarlo on line, refrettario com'era a pc e schermi, figuriamoci il bailamme dei social e tutto quell'affollarsi di r.i.p. che si fa tanto presto a digitare.

Dunque, quel 22 novembre 1998, Carlo Bruzzone aveva chiesto a Woodward di riconoscere che era valida la meta di Troncon che avrebbe dato all'Italia la clamorosa vittoria sull'Inghilterra che tuttora ci manca. La meta non era "buona", era "buonissima", assolutamente regolare e persino con clamorosa evidenza che solo l'arbitro francese Mené non vide. Gli stessi giocatori inglesi stavano già andando mogi mogi sotto i pali, fra il silenzio del pubblico impietrito, perché non ci sarebbe stato più tempo per riparare a quel rivoluzionario 16-22 conquistato dalla banda di Coste e Giovanelli. Allora non c'era l'arbitro alla moviola, ma davvero la meta di Tronky era solare, lo scrisse anche tutta la stampa inglese. Invece niente meta, anzi, finì 23-15 perché, una volta ringraziata la miopia dell'arbitro, gli increduli inglesi marcarono a due minuti dalla fine.

Insomma, nel dopopartita Carlo chiese al ct inglese di riconoscere almeno l'onore delle armi agli azzuri per quella meta regolarissima non concessa. "Quale meta?" snobbò Woodward, indispettito da quegli italiani che stavano per metterlo ignominiosamente al tappeto nel match di qualificazione per i Mondiali 1999. Bruzzone, che era alto più di un metro e 90 e aveva giocato seconda linea prima di fare l'arbitro, decise che la spocchia inglese non andava più subìta: "Ladro, lei è un ladro", urlò a Woodward che restò basito mentre il cronista italiano veniva sollevato e portato via, il che causò anche la fine di quella farsa di conferenza stampa. Per anni il ct poi campione del mondo guardò con circospezione il drappello dei giornalisti italiani temendo di ritrovarsi al cospetto del genovese. Poi i due, parecchie stagioni dopo, si strinsero la mano anche perché Bruzzone era tutto meno che un tipo rancoroso. Anzi, manteneva sempre modi signorili di altri tempi, sia di fronte ai campioni sia di fronte ai novellini fra i cronisti che in questi ultimi anni hanno reso a volte imponente il seguito dei rugbysti azzurri.

Lui, a ogni modo, dal 1951, c'era sempre: aveva diradato le trasferte solo negli ultimi tempi, non tanto per l'avanzare dell'età, quanto, probabilmente, per le precarie condizioni del prediletto Corriere Mercantile che infatti ha chiuso i battenti prima di lui, l'anno scorso. Carlo Bruzzone, oltre che per il quotidiano genovese, ha scritto anche per la Gazzetta dello Sport, soprattutto se c'era spazio per gli "spogliatoi" dopo il pezzo di cronaca di Carlone Gobbi, anzi sir Charles Gobbi.

Spesso, diciamo pure sempre, più tifoso che cronista grazie alla passione smisurata per il rugby, si era sentito molto onorato quando l'anno scorso, con una magnifica sorpresa che lo commosse,  la Fir gli ha riconosciuto un  cap (cappellino) ad honorem grazie allo sterminato curriculum. Un premio, insomma, per il più assiduo missionario della palla ovale italiana: 233 partite, 233 caps più uno, un Oscar alla carriera.

Era una meraviglia ascoltarlo mentre raccontava del rugby del dopoguerra oppure del profumo della savana della Namibia in cui aveva aveva accompagnato gli azzurri in tournée nel 1991. O dei primi e primordiali Mondiali del 1987 in Nuova Zelanda. 

E memorabile resta anche il suo "E buon Natale a tutti" riecheggiato nella tribuna stampa del Flaminio in... febbraio, dopo un ko in uno dei primi Sei Nazioni: Carlo aveva capito che il resto dell'anno non avrebbe portato granché al rugby azzurro.

Sempre per irrobustire la pianta del rugby quando il Sei Nazioni non si poteva nemmeno sognare, Bruzzone dal 1974 era membro del Ciar, il Club Italia Amatori Rugby alla cui fondazione aveva partecipato.

I funerali si svolgeranno sabato 23 aprile alle ore 11.45, nella Chiesa di Nostra Signora del Carmine di Genova. Alla moglie Pucci, gentildonna che a volte lo accampagnava ai match, una grande abbraccio.
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