Rugby, dalla difesa alla programmazione: l'Italia fa scacco matto in 4 mosse

Simone Favaro
di Paolo Ricci Bitti
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Lunedì 21 Novembre 2016, 10:40 - Ultimo aggiornamento: 25 Novembre, 17:37

«E' solo una tappa, questa magnifica vittoria contro il Sudafrica, la prima tappa. C'è ancora tantissimo da fare. Ma quello che è entusiasmante è che abbiamo la possibilità di fare tantissimo: le potenzialità del rugby nel vostro paese sono enormi. Se non ne fossi profondamente convinto non avrei mai accettato di guidare l'Italia». E quando dice Italia il ct Conor O'Shea, al comando appena da giugno, non intende solo gli azzurri, ma l'intero movimento ovale italiano. Naturalmente non parla solo di se stesso, perché l'irlandese dall'ottimismo contagioso è tutto meno che un megalomane, ma dello staff che ha voluto assemblare e dei progetti che ha messo nero su bianco in accordo con la Federazione. Vediamo allora - in quattro atti - che cosa c'è dietro al trionfo contro la quarta potenza mondiale: quello che c'è dietro che poi in realtà è soprattutto quello che ci attende nei prossimi anni.
 

 


IL PROGETTO
La questione più importante non è direttamente collegata all'epica vittoria di Firenze, anche se quel 20-18 ne diventa testimonial. Il 46enne irlandese Conor O'Shea è alla sua prima esperienza alla guida di una nazionale, ha un contratto di 4 anni rinnovabile e ha portato in Italia la moglie e le due figlie. E così hanno fatto in pratica quasi tutti i nuovi componenti dello staff a cominciare dall'addetto ai trequarti Mike Catt, sudafricano di nascita e poi inglese campione del mondo nel 2003. Ciò per dire che si tratta di tecnici che hanno investito parecchio, non solo in termini professionali, su questa avventura.

Mike Catt

Per la mischia O'Shea ha confermato il romano Giampiero De Carli, importante anche per dare profondità storica a uno staff rinnovato.

Giampiero De Carli

Ma in verità la staff della nazionale non si ferma qui, conta almeno altri otto tecnici (urca, come le big di prima fascia), perché il neo ct ha coinvolto fin dall'inizio gli allenatori delle franchigie Zebre e Treviso, da Gianluca Guidi a Kieran Crowley (un ex All Black) a Marius Gosen, sudafricano, guru per i calciatori. Non era mai accaduto che la parola sinergia, nell'italico rugby dei campanili, diventasse tanto concreta. Poi, per mettere finalmente a sistema tutto il movimento italiano come preteso da O'Shea, la Fir ha chiamato l'irlandese Stephen Aboud, al quale ha fatto un contratto di sei anni. Sei. Dopo aver costruito il sistema di reclutamento e formazione, dalla base all'alto livello, dell'Irlanda con ottimi risultati, Aboud ha fatto ancora meglio con la gigantesca Inghilterra. «Dai sei anni al Sei Nazioni si chiama il progetto che ha messo a punto insieme ai tecnici federali Franco Ascione e Daniele Pacini, uno degli artefici del successo della Capitolina. Minirugby, giovanili, accademie, tutta la trafila dei campionati dalla C2 all'Eccellenza (la serie A), franchigie e Nazionali: non sarà facile remare tutti nella stessa direzione, ma per la prima volta il rugby italiano ci prova.

Stephen Aboud

IL CAPITANO
O'Shea ha confermato Parisse capitano, 33 anni, 121 caps: non era obbligato, poteva puntare su un giovane per dare una nuova impronta alla nazionale, ma poi la classe cristallina del numero 8 e il suo carisma trascinante l'hanno spinto a stringere un'alleanza molto logica. Quando possibile se ne risparmieranno le forze, con la meta di arrivare ai mondiali 2019.

I GIOCATORI
Il ct ha rilanciato un mastino come Favaro, asso dei placcaggi, non si è fatto scrupoli di tenere in panca Gori per spedire dentro un debuttante come Bronzini e, soprattutto, ha fatto capire che il merito guiderà sempre le sue scelte, senza alcun timore, vedi la coppia di piloni matricole Ferrari e Quaglio che ha schierato per tutta la ripresa contro i caterpillar sudafricani. Non sarà accettato il minimo calo di forma, il curriculum non conta: gioca solo chi è al 100% altrimenti si aprono falle nella tenuta complessiva della squadra che deve resistere per tutti gli 80 minuti.

LA FORTEZZA
Anche il neoallenatore della difesa (determinante sabato al Franchi) è un campione del mondo: Brenden Venter, medico sudafricano, nel 1995 sollevò la coppa alzata anche da Mandela. Sabato gli Springboks ci hanno provato anche con spocchia a fare a testate con la difesa azzurra allestita da Venter, ma non sono mai riusciti a passare dritto per dritto come sono abituati a fare anche con le grandi nazionali. Dopo l'esperienza offensivistica del francese Brunel, con lo staff dell'irlandese O'Shea si torna a scenari molto italiani: primo difendere, secondo pure.

Brendan Venter
 

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