Sei Nazioni, Appia: «Il nostro rugby da 2000 anni all'ombra degli acquedotti romani»

Sei Nazioni, Appia: «Il nostro rugby da 2000 anni all'ombra degli acquedotti romani»
di Paolo Ricci Bitti
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Sabato 13 Febbraio 2016, 21:18

Basta un effetto nemmeno troppo speciale di questi  giorni - un po' di foschia - per sfumare la vista  dell'orizzonte verso Roma ed ecco i legionari di Cesare  che lasciano il clangore delle armi per iniziare ad  allenarsi sfidandosi per il possesso di un palla di  cuoio piccola e dura, l'arpasto.  Si sono divisi in due squadre e lo scopo del gioco,  esportato in tutto l'impero compreso la Britannia dove  ha particolarmente entusiasmato gli indigeni, è di  portare la palla oltre la linea a fondo campo.

Poi però la foschia si dirada e si vede meglio: sul  campo i legionari si sono in effetti rimpiccioliti: sono  gli under 16 dell'Appia Rugby e del Colleferro che  stanno battagliando sul campo da gioco più affascinante  del mondo. Il pallone vola in cielo incorniciato dagli  acquedotti romani lungo la via Appia che si stagliano  subito dietro le porte ad acca: una grande bellezza che  ha spinto anche il regista Sorrentino a girare qui  alcune scene del film da Oscar.

 


SORRENTINO E L'OSCAR
«Da quando sono circolate sul web le prime foto del  nostro impianto - dice Massimiliano Scaringella,  avvocato e presidente del club nato sette anni fa - non  riusciamo ad accontentare tutte le richieste di club  inglesi, scozzesi, sudafricani, americani che vogliono  venire a giocare sul nostro campo. Alcuni, increduli,  chiedono se quelle immagini siano frutto di fotoshop.  

Non parliamo, poi, da quando è uscito il film di  Sorrentino».  Macché foto-trucchi: qui si passa davvero in un battito  di ciglia dal rugby del Sei Nazioni a scenari da  harpastum di 2000 anni fa. Già lo stadio dei Marmi al  Foro Italico è creduto da molti stranieri-tifosi  un'opera delle antichità capitoline, figuriamoci qui che  si può correre e placcarsi all'ombra di sette acquedotti  (Claudio e Marcia compresi) o sopra, perché è  sottorreaneo, le condotte dell'Anio Vetus. Intanto i minilegionari dell'Appia Rugby oppongono  strenua resistenza alle incursioni della più  equipaggiata coorte del Colleferro che viola più volte  la meta dei romani. Il giovane arbiter di Frascati,  Francesco Paoletti (figlio dell'azzurro Paolo, e vero e  proprio triario), interpreta bene il regolamento  concedendo molto ”vantaggio” per non spezzettare le  azioni.

«Bravo - dice ancora Scaringella - perché l'importante e  che questi ragazzini si divertano. Si immagini che  quest'anno di atleti under 16 ne abbiamo a sufficienza  per comporre due squadre e allora, invece di fare uno  squadrone con i più bravi, schieriamo due ”quindici”  ogni domenica dividendo equamente le forze, così si  sentono tutti coinvolti. Poi magari perdiamo qualche  match in più come sta avvenendo adesso, ma resta molto  più importante evitare che proprio in questa età di  mezzo i ragazzi lascino l'attività sportiva». Ragazzi preziosi, sia come rugbysti sia come futuri  cittadini pronti a lottare rispettando le regole: e poi  questi sedicenni sono nati nello stesso anno del Sei  Nazioni, il 2000. Nativi digitali e ovali. E per di più quasi nessuno di loro arriva da famiglie con rugbysti: pochi anni fa sarebbe stato impensabile.

LONDINIUM
Quasi 2000 anni dopo la leggendaria sfida tra legionari  romani e britannici nell'allora Londinium (ieri come  oggi vittoria dei locali che si appassionarono  all'Harpastum al punto da trasformarlo in rugby qualche  secolo dopo), all'ombra dei millenari acquedotti romani  si trovarono alcuni appassionati di vicende ovali: Fabio  Ceccarelli e Gabriele Caccamo, fra questi. Alcune  società ovali di Roma erano in cattive acque, altre si  erano trovate senza campo da gioco e così le attenzioni  si posarono su un abbandonato impianto per il softball  dietro ai campi di tennis in via Appio Claudio. «Più che un impianto sportivo - racconta ancora  Scaringella - quella zona della Fondazione Gerini era  diventata una discarica. Difficile immaginare che in un  parco archeologico sia stato possibile consentire un  tale scempio. Vabbeh, lasciamo perdere... A ogni modo,  rottame dopo rottame, pietra dopo pietra, l'area è stata  bonificata dai volontari ed è stato tracciato il campo  poi omologato dalla federazione». Già, il campo e null'altro, perché qui i vincoli sono  rigidissimi.

«Giusto - ancora Scaringella - ci  mancherebbe, ci sentiamo noi i primi custodi di questa  meraviglia. Però qui è difficile anche ottenere il  permesso di seminare l'erba. E avremmo bisogno di  qualche struttura leggera e non definitiva per  spogliatoi e accoglienza: qui tra pochi giorni  arriveràdall'Inghilterra lo Stockwood Park e sarebbe  bello ospitarlo in maniera almeno all'altezza dello  scenario storico. Sapete che nel rugby il terzo tempo  vale quanto il match».
 


Intanto l'Appia Rugby nel secondo tempo riesce a uscire  dalle ridotte del castrum e a segnare tre mete al  Colloferro. Sì, il passaggio dei treni e il sorvolo  degli aerei diretti a Ciampino ogni tanto riportano al  2016, ma lo stagliarsi sul fondo a quasi 360 gradi degli  archi degli acquedotti continua a togliere il fiato. «Per quanto enorme per le nostre forze - dice ancora il  presidente - potremmo tentare di affrontare la  realizzazione di un campo sintetico, che permetterebbe  di far giocare ancora più ragazzini di questa zona di  Roma, ci sono anche contributi federali, ma il Parco non  lo permette. Eppure sarebbe una valorizzazione ulteriore  e rispettosa dello stesso Parco con ancora più risonanza  anche all'estero».

 L'ORGOGLIO DELLA MAGLIA
Dell'Appia Rugby si è parlato nei giorni scorsi di nuovo  sulla stampa britannica: è stato il pilone del Leicester  Tigers, Tiziano Pasquali, a sfoggiare la maglia con il  bellissimo logo degli acquedotti quando la società di  vertice del campionato inglese ha chiesto a ogni  giocatore di indossare la maglia del club di origine.  «Siamo fieri di lui e dei nostri 300 ragazzini, a  partire dall'under 6, che giocano ogni settimana.
 


E  presto debutterà anche la squadra seniores, senza  dimenticare gi oltre cinquanta old», dice l'allenatore  Juan Manuel Bigi, origini argentine e una storia nel  rugby non antica come quella degli acquedotti ma  importante.
Il padre Giuseppe Tullio fu tra il fondatori  della Rugby Roma in cui ha poi giocato mediano di  mischia lo stesso Juan Manuel: sua la prima muta di  maglie bianconere arrivata dal San Isidro 86 anni fa.  L'allenamento dei legionari, insomma, Appia  Rugby-Colleferro, è finito e già fumano nei piatti i  maccheroni con le spuntature del terzo tempo preparati  dalle mamme. Un'altra distribuzione di rancio all'ombra  degli acquedotti, come 2000 anni fa. 

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