Sei Nazioni, Parisse: «Sconfitta durissima, ma non abbassiamo la testa»

Canna placcato da Toner
di Christian Marchetti
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Sabato 11 Febbraio 2017, 20:20
Una volta c'erano le strigliate. Al limite, per i più duri di comprendonio, anche un paio di sganassoni. Quanto bastava insomma per svegliare i giocatori e costringerli a tornare in allenamento con spirito nuovo. Con gli occhi della tigre. Ma Conor O'Shea non urla e, al termine della più pesante sconfitta interna al Sei Nazioni, mette i suoi seduti composti negli spogliatoi neanche fosse il Coro dell'Antoniano. Simone Favaro conferma: «Ci ha detto che bisogna stare uniti, che la crescita passa anche per queste cose, per schiaffoni come questo».

UN BEL... CINQUE NAZIONI La verità – o almeno una delle tante – è che questa Italia ha fatto l'indigestione di sconfitte. Tanto a livello di club che in Nazionale. E quando ti abitui a perdere è difficile che dall'oggi al domani inverti la tendenza. Ancora Favaro: «Certo, abituati a vincere anziché a perdere è tutta un'altra camminata, ma è questo ciò che abbiamo e dobbiamo essere noi a tirare fuori i c...».
Favaro parla mentre O'Shea, l'irlandese più triste di tutto l'Olimpico, incassata quella che passa alla storia come la più pesante sconfitta interna degli azzurri al Sei Nazioni, risponde alla solita domanda sulla necessità dell'Italia nel torneo. E sull'eventualità che entrino, magari, Georgia o Romania (quest'ultima ko oggi 41-38 dalla ancora più modesta Germania). «Se ne è discusso molto – risponde il ct – ma so che l'Italia ha dimostrato di meritare il diritto di partecipare. E, comunque, fin quando nessuno paventa un cambio di regole non vi sarà neanche dibattito». Che poi è quanto sostiene lo stesso John Feehan, capo del Six Nations, anticipando che un ipotetico sistema di promozioni/retrocessioni non è all'ordine del giorno. Anzi.

NON SI PIANGE «Sì, possiamo colmare il gap con le squadre più forti – dice il tecnico ma quasi col groppo in gola – Sono sicuro che questa squadra abbia giorni importanti da vivere. Bisogna cambiare molto nel rugby italiano, lo sappiamo, e abbiamo i mezzi e gli uomini per farlo. Se volete posso elencarvi tanti giocatori irlandesi anni '80 fortissimi, ma che non hanno potuto proseguire il proprio percorso poiché senza una valida struttura accanto».

«L'ho detto tante volte: ho massima fiducia in Conor e nei compagni – il contributo del capitano Sergio Parisse – Io non abbasso mai la testa. Io odio perdere, però il mio compito da capitano è aiutare a crescere i ragazzi. Alziamo la testa per migliorare. Forse finirò la carriera e non coronerò mai il sogno di vincere un Sei Nazioni, ma avrò contribuito alla crescita. Ora, dopo l'Irlanda, non ci sono alibi, non ci sono scuse. Non sarà facile ripartire, ma non saremo lì a commiserarci».
Ma, magari, per crescere non sarebbe il caso di restringere a una sola franchigia la presenza italiana in Pro 12 per concentrare maggiormente le forze? «Assolutamente no – risponde O'Shea – La base di giocatori di alto livello a disposizione si restringerebbe ed eventuali scelte sbagliate nel breve periodo finirebbero per ripercuotersi nel lungo».
Breve, medio, lungo periodo che sia, domenica 26 febbraio c'è l'Inghilterra a Twickenham. Fate voi.
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