Di Francesco, ragazzo sveglio, sa già alla perfezione che se non arrivasse la qualificazione in Champions il suo futuro nella Roma non sarebbe così sicuro. E così la partita contro la Sampdoria è diventata improvvisamente una prima verifica delle capacità del chiacchierone di turno, l’erede davanti ai microfoni di Zdenek Zeman 2013 e di Rudi Garcia 2016, sempre in gennaio.
UNA TRISTEZZA ASSOLUTA
Primo tempo da incubo, per la Roma. In balia della Sampdoria. Una non squadra assoluta: molle, timorosa, macchinosa, timida. Incapace di infilare due, tre passaggi come si deve di fila. EDF furibondo per il comportamento dei suoi giocatori, quelli da lui accusati di non aver fatto i compiti durante la sosta. C’è un nesso, forse, tra questo e la prestazione inguardabile del gruppo? Difficile non pensarlo. Florenzi da undici metri consegna il pallone a Viviano, ed è un altro pessimo segnale. (Non) basta il mal di gol, adesso pure il mal di rigore? Fischi, all’intervallo. Inevitabili. Un miracolo non essere sotto. Applausi ancora solo per Sant’Alisson. Fallimentari i big, soprattutto. Quelli che guadagnano un botto e che dovrebbero guidare il gruppo in difficoltà. Vampate di Roma, nella ripresa, parate di Viviano e consueti errori degli attaccanti, via via sempre più numerosi ed inefficaci. Dzeko? A Londra, già. E, dopo l’ennesima sbavatura, il gol da tre punti della Sampdoria. Logica conclusione di una prestazione, quella romanista, che chiama negativamente in causa tutti. Tutti, dalla A alla Z, colpevoli del fallimento. Nessuno tra coloro che stanno a libro paga (e chi paga) può e deve essere risparmiato. Fare classifiche di demerito è fuori luogo, perché si correrebbe il rischio - salvando qualcuno - di essere bugiardi. Il mercato sta per finire, la Roma è già finita. Da un pezzo. Complimenti. Anzi, per farci capire meglio: congratulations e felicitaciones.
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