Inghilterra, Londra vota Antonio (Conte)

Inghilterra, Londra vota Antonio (Conte)
di Ugo Trani
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Lunedì 2 Gennaio 2017, 12:42
ROMA Lo Stamford Bridge, il giorno di Ferragosto per il debutto in Premier contro il West Ham, lo ha subito accolto da italiano vero. La curva dello stadio in Fulham road colorata come fosse la nostra bandiera per il benvenuto all'ex ct azzurro. I tifosi dei Blues si sono fidati a priori di Conte, anche perché ormai il marchio del nostro calcio a Londra (e non solo) risulta vincente: Ancelotti è stato Re Carlo proprio con il Chelsea e dopo di lui anche Mancini con il City e la stagione scorsa Ranieri con il Leicester. Con Big Tony, però, c'è addirittura più confidenza. Lo chiamano per nome da meno di due mesi, da quando nel bel mezzo della striscia dei 13 successi di fila, con il motivetto «Antonio-Antonio-Antonio» lo hanno scelto come loro condottiero. Mourinho cancellato. Nei cori. E anche nei fatti: nell'ultimo campionato, 10° posto e 50 punti, con l'ex Special One; oggi il primato, già con 49 punti e 6 di vantaggio sul Liverpool, grazie a 16 successi (mai accaduto in Inghilterra nelle prime 19 partite).
BASSO PROFILO
«I record contano poco se poi alla fine non vinci». Conte è lo stesso di sempre. Pubblicamente non si prende mai i meriti. Racconta, dopo ogni vittoria, di essere felice per i suoi giocatori. Con i quali il feeling è plateale e nessuno quindi lo può negare. Gli abbracci a ferro e fuoco con Diego Costa e David Luiz, rivitalizzati e riconoscenti, le carezze a Fabregas e a Willian, adesso più titolari che riserve, le coccole a mezzo busto per il gigante Courtois che il Real vorrebbe in porta al più presto. Antonio sa di aver convinto soprattutto loro. Che, come in passato nella Juve o fino a 6 mesi fa con l'Italia, sono gli unici interlocutori. Anche a Londra li ha portati dalla sua parte e ora sono i Fedelissimi. Gli è andato incontro: 1 giorno (o anche 2) di riposo, mai la doppia seduta di allenamento e nessun cambio di alimentazione. Si è adeguato, lasciando loro le vecchie e care abitudini, accontentandosi di chiedergli la massima applicazione in campo e di lavorare sempre di mattina.
ALTO RENDIMENTO
«A inizio campionato non un singolo allenatore, non un singolo giornalista credevano che questa squadra potesse lottare per il titolo, perché arrivavamo da una cattiva stagione e da un mercato estivo non buono. Ora le opinioni stanno cambiando. Sono felice quando faccio cambiare idea, ma bisogna anche stare attenti. Il vantaggio non è ampio, la Premier è lunga» ha ricordato dopo il successo di fine 2016 sullo Stoke City. E, pur incassando i complimenti di diversi colleghi, non si è comunque messo ancora nessuna medaglia al petto. E ha evitato ogni polemica, non abboccando alle provocazioni del predecessore Mou. Ha, però, fatto spesso riferimento ai pochi rinforzi ricevuti. Se ne aspetta qualcuno dopo i 60 milioni abbondanti incassati da Abramovich per la cessione di Oscar: guarda a Vidal, gli piace N'Zonzi e sogna ancora Nainggolan. In più aspetta Kessie. Il Chelsea, insomma, va completato e migliorato per scongiurare il ribaltone prima del traguardo.
SVOLTA TATTICA
Come a Torino, quando atterrò sulla panchina della Juve arrivata per due volte di fila al 7° posto, pure a Londra è stato chiamato per la ricostruzione. Il segno l'ha già lasciato e ha usato il vecchio aratro, l'Old Pough (il pub accanto al football ranch del Chelsea dove si fermano i giornalisti a bere un birra prima e dopo l'allenamento), per spiegare come c'è riuscito proprio ai media. Lo fece anche a Vinovo e in Aula Magna a Coverciano, davanti alla lavagna, disegnando i suoi schemi. Il 24 dicembre si è limitato a sostituire il pennarello con il boccale. Per brindare alla virata di 2 mesi prima, quando i bookmakers abbassarono la quota del suo possibile esonero. All'Emirates, il 24 settembre (6° turno), nell'intervallo della gara con l'Arsenal avanti di 3 gol dopo 1 tempo, ha abbandonato la difesa a 4 ed è tornato alla difesa a 3. Nella ripresa non ha subito gol e la partita successiva, il 1° ottobre sul campo dell'Hull City, è partita la serie dei 13 successi. Dal 4-3-3 (spesso 4-5-1) è passato al 3-4-2-1 (3-4-3). Difende e attacca con 5 giocatori, abbassando e alzando Moses e Alonso: quindi il 5-4-1 quando si chiude e il 2-3-5 (stile Guardiola) quando avanza. Perché, lasciando David Luiz a fare il play basso (alla Bonucci), Azpilicueta o Cahill salgono a centrocampo accanto a Matic (o Fabregas) e Kantè. Il raccolto, dopo la modifica in corsa, è da Premier: 32 gol fatti e 4 subiti nelle ultime 13 gare. E soprattutto 11 partite su 19 senza prendere gol.