Tennis, Pietrangeli Alloro olimpico: «Io, l'unico vivente a cui hanno intestato qualcosa»

Nicola Pietrangeli
di Alessandra Camilletti
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Venerdì 21 Ottobre 2016, 16:49 - Ultimo aggiornamento: 22 Ottobre, 16:19

«Questa proprio non me l’aspettavo. Quando mi ha chiamato il segretario del Coni Fabbricini, mi ha chiesto se potevo esserci: beh, gli ho detto, anche se non ci sono, ci sono lo stesso. Malagò ha detto: fantastico. E io ringrazio loro e il segretario generale del Coe Pagnozzi. Mi ha detto: chi meglio di te?». Nicola Pietrangeli, la leggenda del tennis italiano, ora è anche Alloro olimpico, riconoscimento che riceverà domani a Minsk dal Comitato olimpico europeo, che ha deciso all’unanimità. Primo assoluto nella storia dello sport italiano.
Dunque, Pietrangeli: primo italiano a vincere un torneo di Grande Slam e primo italiano Alloro olimpico. Numero 3 del mondo del tennis, mai più ripetuto. Che effetto le fa essere il primo italiano di molte prime volte?

«Non lo so. Quasi dieci anni fa Petrucci e Binaghi mi comunicarono di aver intestato il campo con le statue a mio nome: sono l’unico vivente ad avere intestato qualcosa. Sono anni che vorrei diventare socio onorario di Wimbledon e questo riconoscimento europeo è dieci volte di più. Lo sappiano a Wimbledon (sorride il campione, ndr)».
Che effetto le fa vedere la targa?
«Un certo effetto, ma spero di verla ancora un bel po’ di tempo».
E come si sta ad essere considerato il più grande giocatore italiano di tennis di sempre?
«Qualcuno ci mette dentro giustamente anche Panatta. Certo, se guardiamo i risultati, ne ho io più di lui e lui ha 17 anni meno di me. Adriano è un grande talento».
Dal suo ruolo di ambasciatore, qual è l’immagine che emerge di più all’estero del tennis italiano?
«È molto ben visto, anche grazie alle ragazze che ci hanno mantenuto per dieci anni. Hanno fatto cose straordinarie. I ragazzi sono tutti ottimi giocatori, ma manca quello con la G grande. Fognini è un caso a parte: ha quasi tutto e potrebbe stare molto meglio in classifica. Ma il tennis non è solo Coppa Davis o Fed Cup, è tutto il movimento. La Federazione fa molto, ma il campione non si fabbrica, devi avere la fortuna che la cicogna te le porti».
Con chi vorrebbe giocare oggi?
«Con due. Con Laver e con Santana, che mi ha battuto due volte a Parigi».
Il titolo che ha sentito maggiormente?
«A pari merito Coppa Davis e la seconda volta di Parigi».
La sconfitta che ancora non le va giù, se ce n’è una?
«Più d’una, tante. Oggi la sconfitta viene presa in due modo: intanto c’è il fatto che hai perso e poi che hai perso qualche decina di migliaia di euro. Direi la prima volta che Panatta vinse i Campionati italiani, quando era giusto che vincesse lui la seconda. La sconfitta non piace nessuno, ma oggi la finale fa 1,5 milioni di euro di differenza, all’epoca cento dollari cambiavano poco».
Io le indico una serie di tornei e lei mi dice il ricordo più immediato che le viene. Coppa Davis?
«Certamente l’esordio, a 21 anni neanche, e naturalmente la vittoria naturalmente».
Wimbledon?
«Mi è rimasto sul groppone quando ho perso con Laver. Fraser vinse in finale e io con lui non avevo mai perso. Quell’anno lì vincevo io».
Roland Garros?
«La mia seconda casa. Quasi quasi mi hanno amato più a Parigi che a Roma. Essendo nato io a Tunisi, mi chiamavano il più francese degli stranieri. Quando vinci con Roy Emerson il giudice di gara mi venne a chiamare nello spogliatoio perché il pubblico mi reclamava. Direi più che commovente».
L’Olimpiade: Città del Messico 1968...
«Noi eravamo a Guadalajara ed era sport dimostrativo, per quanto olimpico: divenne effettivo dall’Olimpiade successiva».
Gli Internazionali d’Italia?
«Quasi la prima casa, ci abito sopra e viene anche facile. Sono entrato al Foro italico come giudice di linea, con una gran paura, ma non credo di aver sbagliato».
Meno male...
«Vorrei lì il mio funerale, il più lontano possibile. Con il parcheggio e la musica a tutto volume: Aznavour e Sinatra. Non è cinico, sono abbastanza giocherellone: ma che dobbiamo tutti piangere? E poi se piove si rimanda di un giorno».
Cosa c’è di diverso nel tennis oggi rispetto ad allora?
«Intanto la racchetta. Allora, prima eri un talento e poi diventavi un atleta, oggi sei per forza un atleta e se hai talento è meglio. Tutto lo sport è così. Oggi è tutto fisico e un allenatore non può allenare se non ha tre lauree».
Ce l’ha un motto?

«Ti fossi allenato di più, avresti vinto di più, ma mi sarei divertito meno».
Difficile vincere di più di quello che ha vinto lei.
«Si può sempre fare di più nella vita».

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