Per un pugno di sesterzi, l'Urbe di 2000
anni fa scenario per gli scrittori di thriller

"Morte di Cesare" di Vincenzo Camuccini
di Valerio Massimo Manfredi
4 Minuti di Lettura
Mercoledì 8 Luglio 2009, 15:29 - Ultimo aggiornamento: 18:37
ROMA (8 luglio) - I racconti gialli o polizieschi sbancano il botteghino, basta guardare le classifiche dominate da Camilleri e Faletti; subito dopo viene il mistero, l’enigma, poi la caccia al Graal, all’arca dell’alleanza e ad altri oggetti carismatici.



Si tratta comunque di buone notizie perché questo tipo di letture allena il cervello, stimola l’intelligenza e fa circolare emozioni forti. Ogni lettore conquistato è un uomo salvato da un certo punto di vista. E’ uno che preferisce usare la testa piuttosto che subire, agire in prima persona piuttosto che da inerte spettatore. La modernità, l’ambiente urbano, i bassifondi delle grandi metropoli, i luoghi del vizio e dell’intrigo sono il naturale sfondo di storie investigative e malavitose, di indagini sul lato oscuro della forza ma ultimamente anche l’antichità si tinge di giallo piuttosto che di rosso pompeiano.



Ci sono stati gli antesignani, ovviamente, fra cui in Italia va ricordata innanzitutto Danila Comastri con il suo Aurelio Stazio, giovane, affascinante, aristocratico, disincantato che tiene magistralmente la scena in storie tutte dal titolo latino tipo giudiziario e medicolegale In corpore vili o quello sapienziale come Mors tua o archeologico Cave canem e via citando. Sono storie narrate con garbo e intelligenza e ambientate bene, in un set naturale e credibile dove si fondono l’abilità della scrittrice e la competenza di una studiosa di notevole livello.



Ma sul tema si sono buttati anche gli stranieri, da Conn Ingulden a Lindsey Davis, a Gisbert Haefs prolifico autore di grandi storie di avventura ambientate nell’antichità. Autori che si cimentano in una contaminazione tra romanzo storico e thriller poliziesco, un po’ come fu, per il bestseller di Umberto Eco Il nome della rosa.



L’antichità classica ha molti vantaggi: non è così conosciuta come si potrebbe pensare, è molto “esotica” cioè remota nel tempo e anche nello spazio, il sesso vi è molto più libero per non dire senza freni, la violenza privata più diffusa. Ma chi erano i cattivi nel mondo antico? E quali le forze dell’ordine? Il crimine era molto diffuso in Grecia e a Roma e veniva contrastato da strutture di ordine pubblico anche se non esistevano uffici simili ai nostri commissariati di polizia.



Ad Atene esisteva un corpo di arcieri sciti armati di mazza che teneva l’ordine nei teatri e per le strade, a Roma c’erano i vigiles e la guardia pretoriana dipendenti da due prefetti di rango equestre di nomina imperiale che al bisogno potevano essere impiegati per questi scopi. Nei periodi di gravi disordini soprattutto durante le guerre civili si ha comunque l’ impressione che a Roma si scatenassero lotte per bande con arruolamenti privati di nuclei di gladiatori o di altri tagliagole, scontri di clientele, utilizzo di sbandati e di senza fissa dimora e sostentamento.



Diciamo comunque che in condizioni normali i magistrati inquirenti avevano la possibilità e il dovere di indagare su un delitto, di scovare il colpevole, di processarlo, condannarlo ed eseguire la sentenza. Sicuramente poi vari corpi dello stato avevano possibilità di eseguire indagini e investigazioni e c’era una sorta di servizio segreto militare che aveva vere e proprie mansioni di intelligence, gli speculatores. Molto spesso infatti abbiamo situazioni riferite dalle fonti antiche che non si possono spiegare se non con l’esistenza di corpi investigativi e d’informazione. Per esempio a proposito dell’assassinio di Filippo II di Macedonia, padre di Alessandro, Aristotele riferisce dei particolari che lasciano pensare che avesse condotto delle indagini personalmente.



La sua conclusione, e cioè che il movente andasse cercato in una torbida faccenda di amori maschili, non convince noi e non convinceva nemmeno lui e ha tutta l’aria di essere una specie di archiviazione ufficiale del caso tanto per porre fine al problema. Tant’è che ancora oggi ci si chiede chi sia stato l’assassino. Chiunque fosse era un genio perché aveva fatto uccidere Filippo e poi subito dopo l’uccisore (ricordate Jack Ruby dopo l’assassinio di Kennedy?) e tutto ciò in un momento in cui tutti potevano essere sospettati: la regina madre, i tebani, gli ateniesi e ovviamente i persiani. Vi fu persino chi sospettò lo stesso Alessandro. Tutti colpevoli, nessun colpevole.



I nostri moderni autori hanno di che divertirsi a tessere trame in quell’ambiente: i bassifondi del mondo antico brulicavano di una umanità emarginata e disperata che non sapeva la mattina se avrebbe mangiato prima che cadesse la notte e che era pronta a tutto per due soldi: liberti senza padrone di riferimento, schiavi, prostitute, liberte di facili costumi, gladiatori, veterani dell’esercito abbruttiti da innumerevoli campagne che bruciavano i soldi del congedo in vino e donne e poi si vendevano sulla piazza al migliore offerente, gladiatori che arrotondavano il proprio compenso a pagamento, maghe, fattucchiere e avvelenatrici. Con in più l’esotismo della lingua, della cucina, del vino speziato, dei pesanti profumi orientali.