Arianna Fontana: «La riforma? Non si cambia lo sport senza confronto»

Arianna Fontana
di Gianluca Cordella
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Lunedì 12 Agosto 2019, 11:31 - Ultimo aggiornamento: 14:00

Il suo sorriso d’oro ha illuminato Pyeongchang. Poi Arianna Fontana ha deciso di prendersi una pausa e di puntare ai Giochi di Pechino 2022 dove potrebbe diventare l’atleta più medagliata della storia dello short track. 
A che punto è la missione rientro?
«Diciamo solo che è in atto, ho ricominciato ad allenarmi a marzo per la coppa del mondo. Me la sono presa comoda, ma avevo bisogno di uno stacco completo». 
Quanto è difficile ricominciare dopo una pausa così lunga?
«Abbastanza. Non per il fisico, più per una questione di testa. Prima facevo le cose in automatico, mentre adesso devo pensarci su. Bisogna essere bravi a non arrabbiarsi con se stessi e a tenere al minimo la frustrazione».
Durante la sua assenza un po’ di turbolenze hanno scosso lo sport italiano. Che idea si è fatta delle frizioni governo-Coni?
«La cosa che mi sta più a cuore è il futuro dello sport, olimpico soprattutto. Quando ci sono queste spaccature quelli che ci vanno di mezzo sono gli atleti, non solo quelli che gareggiano adesso ma i futuri olimpionici. Questa cosa mi spaventa e mi fa arrabbiare al tempo stesso. Sarebbe bello che chi prende le decisioni, prima di cambiare tutto, passasse una giornata con uno di noi, per vedere con i suoi occhi quello che facciamo, ciò che ci serve davvero».
Il Cio dice che la riforma dello sport è in conflitto con 6 punti della Carta olimpica e minaccia la sospensione del Coni, con gli azzurri che sarebbero costretti a gareggiare a Tokyo 2020 da neutrali.
«Non è il massimo, per usare un eufemismo. Inseguo la mia quinta Olimpiade e non riesco proprio a immaginarmi sul podio senza il tricolore e senza l’inno». 
Lei in Corea è stata la nostra portabandiera. Rinuncerebbe ai Giochi in queste condizioni?
«Noi ci mettiamo cuore e anima tutti i giorni per inseguire il sogno olimpico: una rinuncia sarebbe dura. Ma lo è anche gareggiare senza i propri colori. In ogni caso ci andremmo a perdere». 
A Pyeongchang i russi erano in gara sotto la bandiera del Cio (Mosca però era alle prese con la bufera doping, ndc). 
«Prima dei Giochi parlai con una delle atlete russe ammesse, non sapeva se fosse più giusto partecipare o no. Ci siamo riviste in Corea e mi ha detto: “è una situazione assurda, ma lavoro per questo momento da quattro anni e non potevo rinunciare”». 

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Beffa ancora maggiore sarebbe perdere i Giochi di Milano e Cortina 2026.
«Si butterebbe nel cestino la reputazione dell’Italia. Il Coni ha fatto un lavoro enorme per averli. Perdere delle Olimpiadi già assegnate renderebbe impossibile anche solo pensare di poter riportare in Italia un evento di questo tipo. Sono stata in prima fila per sostenere la candidatura e pensare che tutto possa sfumare fa malissimo. Meglio allora perderla a Losanna contro la Svezia e amen». 
Come se ne esce?
«Con un confronto tra le parti. Bisogna capire che in gioco c’è il futuro. Ci sono ragazzini che fanno sport sognando di partecipare ai Giochi che non meritano di vedere i loro atleti del cuore in gara non si sa sotto quale bandiera. Si deve trovare il modo per lavorare insieme. La preparazione olimpica, affidata al Coni, non può essere separata da tutto il resto. Specie se ci sono giovani che si allenano per conto proprio e che sono pronti a prendere il posto di qualche atleta più grande. Quando sono salita sul podio alla mia prima Olimpiade avevo 15 anni. Prima di Torino 2006 mi allenavo con la mia società e ho continuato a farlo anche dopo aver vinto con i colori dell’Italia. Come si inserisce la preparazione olimpica in una situazione di questo tipo, al di fuori delle squadre nazionali?». 
Ai Giochi 2026 sarà ancora sul ghiaccio o dietro la scrivania?
«È sempre bello pensare di continuare a gareggiare e chiudere a Milano un percorso iniziato 20 anni prima a Torino sarebbe il massimo. Andiamoci piano. Ora mi concentro su Pechino, poi si vedrà».
 

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