Gatlin, l'oro è opaco. Non è bastato vincere il mondiale per cancellare il passato

Gatlin, l'oro è opaco. Non è bastato vincere il mondiale per cancellare il passato
di Piero Mei
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Lunedì 7 Agosto 2017, 10:56
 Bolt è salito per primo sul podio, come spetta al terzo arrivato: c'è stato qualcosa che è sembrato uno scambio d'amore fra Usain e il pubblico tutto, quello che aveva pagato il biglietto per i bambini al prezzo di 9,58 sterline che era l'ultimo richiamo pubblicitario basato su di lui. L'applauso non finiva più, anche se c'era più malinconia che non felicità, su e giù dal podio. Gatlin vi è salito per terzo, come spetta al primo: timido è stato l'applauso da qualche gruppo da America First, giusto o sbagliato che sia è il mio Paese, come dicono loro in ogni caso, anche quando suona e stona Trump. Londra ha di nuovo fatto buu a questo campione del mondo di 35 anni, di cui 4 passati al riposo forzato perché due volte colto dall'antidoping. Un buh che Gatlin ha gratificato di un timido bacetto lanciato al fronte nemico del tutti o quasi contro uno e poi nell'attesa che gli fosse appesa la medaglia al collo, che partisse la musica dell'inno, le mani si stropicciavano nervosamente e gli sembrava che il tempo non passasse mai; certo non era passato così velocemente come quello della gara.
LAMPO TRISTE
Lo sguardo di Gatlin era, senza che suoni a contraddizione, un lampo triste; anche perché a premiarlo s'era trovato di fronte, e non poteva farci niente, Sebastian Coe, Lord olimpico per grazia reale, quello stesso Coe che è il numero uno dell'atletica e che, dopo la gara più gara del mondiale, aveva appena detto «non doveva finire così, è un copione sbagliato». Alludeva, il piccolo Lord, al successo di un ex dopato, dodici anni dopo la prima volta, con quell'intervallo di sportivo esilio, davanti al campione dello sport pulito e allegro, professionista per l'impegno e dilettante per lo spirito, che è stato Usain Bolt. Ma non sa, Coe, che le regole le ha fatte la sua Iaaf?
BAD BOY
Gatlin è il perfetto stoico: l'apparenza inganna, però. Justin è l'uomo che tutto ei provò, come un verso di una di quelle poesie di Manzoni che si dovevano mandare a memoria. E quindi non lascia trasparire non solo un sentimento ma neppure una sensazione. Ha detto «il passato non conta», come fa l'innamorato cotto, che però si rode dentro; ha detto «io non sono un bad boy, siete voi che mi avete messo l'etichetta»; «chi ama Bolt non deve odiare me»; «nemmeno io credevo in me stesso». Non sono frasi da bad boy. Ma sono frasi, e l'anfetamina è anfetamina, e il testosterone è testosterone. Bolt che è generoso ha cercato di proteggere con il suo comportamento Gatlin l'oltraggiato, coprendolo d'applausi alla consegna dell'oro e Justin s'appoggiava al giovane Coleman, l'argento, come al bastone della sua vecchiaia, sportiva s'intende.
IL VIDEOMESSAGGIO
Ma anche scesi dal podio, dopo le fanfare, si capiva che il re del popolo era Bolt, Gatlin un incidente di percorso nell'amore tra lui e gli stadi. Usain aveva appena lanciato un videomessaggio come è ormai d'uso fra personaggi e personaggetti: ho dato tutto ma non è bastato, non vedo l'ora di voltare pagina, non so cosa mi riserva il futuro ma di certo so cosa farò: una vita normale; sono deluso, ma non rinnego nulla; era un anno che dovevo ai miei tifosi; è stata una notte che non dimenticherò mai. Non la dimenticherà mai neppure Justin Alexander Gatlin di New York, nato il 10 febbraio 1982 a Brooklyn, altezza 182 centimetri, peso 83 chili, due volte campione del mondo nei 100 metri, nel 2005 e nel 2017, due volte squalificato per doping, che correva sotto i 10 secondi nel 2003 e lo fa ancora nel 2017, ed ha intenzione di continuare così fino al 2020, «ma non è detto, decido anno per anno». Bolt scagliava da sotto al podio l'ultima finta frecia nel suo gesto diventato brand; lasciava il passo a Gatlin che faceva appena un piccolo cenno con la mano a qualche familiare in tribuna e, cedendo la dovuta precedenza, Usain era l'ultimo ad andarsene. Negli occhi e nel cuore di tutti non c'era che il Fulmine, che su Londra è caduto.