Amedeo Della Valle: «L'Italia di Sacchetti non limita il talento»

Della Valle
di Vanni Zagnoli
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Lunedì 9 Aprile 2018, 10:45
Amedeo Della Valle è il santo tiratore del basket italiano, lo incrociamo da quattro anni, dagli spogliatoi del palaBigi. Saluta papà Carlo, familiari e amici e magari il procuratore. Occhiali e riccioli, è il miglior italiano della serie A, per continuità, da quando è a Reggio, ogni tanto si ferma per lombalgia.
 


Anche ieri, era a bordo parquet, per la sfida ai campioni d’Italia di Venezia, che tre anni fa persero la semifinale con Reggio. 
Amedeo, si scompone mai? «Poco, anche se diverse cose mi rendono felice. La supercoppa vinta a Torino, con la Reggiana, è stata un grande successo. Come la semifinale raggiunta in Eurocup, il mese scorso». 
Neanche fuori dal campo? 
«Cerco di essere professionale, di rientrare sempre nelle righe. È questione di carattere». 
Ma quella faccia cattiva vista contro Sassari? 
«Nulla di pensato, fu un’espressione istintiva. Era gara-5 della finale scudetto, divenne uno slogan, una maglietta».
Quelle finali le vinse la Dinamo alla 7ª, con Romeo Sacchetti in panchina, ovvero il ct azzurro, che fa di lei il leader.
«Cerca di mettere tutti nelle migliori condizioni possibili, non limita il talento, fa giocare liberi al massimo».
Pianigiani e Messina non si erano accorti del suo estro? 
«Si basavano molto sui dettagli e su determinate idee». 
Come difesa e fisicità, soprattutto il catanese, vice in Nba. Chi è il coach più bravo, per la difesa? «La strategia conta, ma è fondamentale il sacrificio, non basta uno specialista, serve l’applicazione del quintetto».
Lei palleggia, si arresta da ogni posizione e spara a canestro, ma difende? 
«Devo migliorare, come in altro, ci lavoro». 
Se papà Carlo era il marchese, tre volte semifinalista con Torino, playmaker atipico, lei? «Nessun nomignolo, solo Ame».
Senza di lui sarebbe diventato Amedeo? 
«Ha influito, certo, e in positivo. Mi segue sempre, in parterre». Dalle tribune cosa le urlano per scoraggiarla? 
«Frasi censurabili. In trasferta arrivano».
A chi si ispira, a chi somiglia? «Ho tanti modelli diversi, uno solo non ha senso. Apprezzo il sacrificio di atleti e nuotatori». 
Abita a nemmeno mezzo chilometro dal palaBigi, come passa il tempo libero? 
«Mi riposo, per reggere la stagione, lunghissima. Ogni tanto vado a pescare, quando c’è bel tempo, vicino alla città».
È nel miglior quintetto di Eurocup, grazie alla semifinale di Reggio, persa 2-0 contro Kuban, a quando l’Eurolega? «Non saprei, davvero. Ho simpatia per il Fenerbahce, per il reggiano Nicolò Melli e per Gigi Datome, i turchi sono ad alti livelli, campioni d’Europa e adesso secondi nel girone».
Ma è giusto che chi vince lo scudetto non vada in Eurolega, che partecipi Milano, a prescindere?
«La regola è molto particolare, tuttavia impianto e organizzazione vengono prima di ogni altra cosa». 
Chi tiene in Nba? 
«Sono tifoso di LeBron James, quindi di Cleveland».
Ecco, James è 113 chili. Lei come farebbe in America, con i suoi 86? 
«C’è chi basa molto sul fisico, io punto sulla dinamica e la tecnica, tutte e 3 le peculiarità sarebbero il massimo. Occorre inoltre essere forti mentalmente e saper leggere il gioco».
Alessandro Gentile è il LeBron italiano? 
«Viene da annate difficili, alla Virtus Bologna è in grande ripresa. La dinamica del tiro lo condiziona ancora, ci lavora. Possiamo coesistere, in azzurro».
Datome prevedeva Aradori come 6° italiano in Nba. Quando sarà? 
«Arriverà, di sicuro, qualcuno, non so dire quando né chi».
È pentito di avere ascoltato i messaggi notturni della presidentessa Licia Ferrarini? 
«Sono felice di essere rimasto in Emilia. Dal 2011, con il ritorno in A, ha sempre centrato i playoff e le Final 8 di coppa Italia, escluso quest’anno, e l’8ª piazza resta alla portata. Ho il contratto in scadenza nel 2019, fino ad allora resto qui».
Andò a studiare a Las Vegas, Nevada, in high school, e poi in Ohio, sino a 21 anni, all’università...
«Anche papà spinse per gli Usa, quel triennio è stato determinante, anche per Daniel Hackett. Federico Mussini è rientrato da due anni, adesso è in prestito in A2, a Trieste. A St. Buckeyes mi sono abituato al gioco fisico, sulla scelta incise la grandezza del college. Seguo ancora Gonzaga, per il coach Riccardo Fois, che pure mi aveva reclutato». 
Qual è stata la miglior partita della carriera? 
«Con la Croazia, in nazionale, pochi mesi fa. Ora sono titolare per le assenze, ma anche per le scelte del ct».
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