Morto Kobe Bryant, l'italiano vero che ha conquistato il mondo

Kobe Bryant a Roma durante una visita a Via del Corso (foto CAPRIOLI)
di Gianluca Cordella
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Martedì 28 Gennaio 2020, 08:27 - Ultimo aggiornamento: 08:40

«Da voi ho imparato a giocare a basket». Che era il grande amore della sua vita. Così, con un sillogismo nemmeno troppo aristotelico, Kobe Bryant amava l’Italia perché era qui che aveva incontrato il suo grande amore. Scoperto no, perché con papà Joe in casa trovare una palla a spicchi da lanciare in qualche secchio era sin troppo facile. Ma, letteralmente, incontrato. Perché nel nostro Paese Bryant ha cominciato a giocare, a sfidare se stesso e gli altri. Ha scoperto la competizione, quel doping naturale che lo ha fatto andare avanti fino a quando le sue gambe hanno cominciato a strillargli che, davvero, non ce la facevano più. Ha capito che sarebbe diventato il migliore, da quando a 6 anni i coach di turno erano costretti a farlo giocare contro i bambini di 9. Quando nel 1989, a 11 anni, cominciò a piangere a dirotto durante un torneo a Reggio Emilia dopo essersi fatto male a una gamba. Perché? «Questo infortunio mi impedirà di arrivare in Nba». Gli altri ridevano bonariamente, ma lui 7 anni dopo debuttava con i Lakers. E Reggio Emilia, che non lo ha dimenticato, ha deciso di intitolargli una piazza. Soprattutto, in Italia, ha imparato un basket di area Fiba che la Nba non contempla. «Da voi ho studiato i fondamentali. Non ho lavorato per diventare un giocoliere, ma per muovermi senza palla e usare i blocchi, utilizzare entrambe le mani, passare la palla in maniera efficace». Perché da quell’altra parte dell’Oceano, quella dei “maestri”, «se eravamo fortunati facevamo una partitella a settimana». E l’Italia - sì il paese dei furbetti del cartellino e del reddito di cittadinanza - che un po’ a sorpresa fa la parte del Paese dove si lavora tanto e bene. Grazie, Kobe.

E stato dunque il background tricolore a fare la differenza tra Bryant e gli altri. Certo, il resto ce lo hanno messo il dna di papà Joe e l’estro di Madre Natura, ma troppe se ne ascoltano di storie di talenti cristallini smarriti per strada. Al Black Mamba non è successo e quella gratitudine per il Paese che lo aveva svezzato sotto canestro è rimasta forte negli anni. Al punto da “infilare” un po’ di Italia in qualsiasi ambito della sua vita lo permettesse. A cominciare dalla famiglia: quattro figlie, quattro nomi italiani. A volte di gusto discutibile ma che fotografano luoghi e amori del nostro Paese: Natalia Diamante, Bianka Bella, Capri Kobe e Gianna Maria-Onore, l’erede di papà, la stellina che si stava guadagnando i riflettori e che si è spenta tragicamente nell’incidente di domenica. A loro (tranne Capri, nata in seguito) Kobe si era rivolto dal palco del Dolby Theatre in Hollywood, ricevendo l’Oscar per il cortometraggio d’animazione ispirato alla sua lettera di addio al basket. Lo aveva fatto in italiano davanti al mondo: «Vi amo con tutto il mio cuore». 

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Parole tenere, da padre e marito. Che stridono con quelle, sempre nella nostra lingua, che si beccava spesso Sasha Vujacic nei suoi anni ai Lakers. Lo sloveno era reduce da tre anni a Udine e l’italiano lo sapeva bene. Mondiale il siparietto durante le Finals contro Boston. Vujacic va in lunetta e la regia americana ignora quelle parole che passano dai microfoni a bordocampo: «Almeno ‘sti due mettili, ca...». E Sasha che, nonostante la tensione del momento, non riesce a trattenere una mezza risata. In fin dei conti anche il trash talking è indice di quanto bene si conosca una lingua. E Kobe l’italiano non lo ha mai dimenticato, sebbene raccontasse in giro di parlarlo solo ogni tanto con sua sorella. Ma, da Pistoia a Reggio Calabria, sono tante le persone che raccontano di essere rimaste sempre in contatto con lui: figli dei compagni di squadra del padre, amici di campetto, ex allenatori. Pronti a giurare di aver ricevuto negli anni, costantemente, da Kobe almeno un messaggino di auguri per il compleanno. In inglese o in italiano non importa. I legami veri, in fondo, parlano lingue universali. 
 

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