Paolo Ricci Bitti
Rugby Side
di Paolo Ricci Bitti

Dalla Francia all'Italia il referendum sul ct del rugby: «Volete voi un allenatore di Rovigo? O di Padova? O di Treviso?»

Bernard Laporte
di Paolo Ricci Bitti
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Venerdì 12 Aprile 2019, 20:56 - Ultimo aggiornamento: 13 Aprile, 01:39
No, i club francesi di rugby non vogliono che la nazionale sia guidata da un tecnico straniero. E' fallito, in tutti i sensi, l'inedito referendum lanciato lo scorso aprile dal presidente delle federazione, Bernard Laporte, 55 anni, giocatore di buon livello e soprattutto allenatore dal curriculum sfavillante con i club e con la nazionale, mentre politicamente non ha lasciato le stesse tracce brillanti nel ruolo di sottosegretario a Sport e Gioventù su incarico dell'allora presidente Sarkozy.

E anche da presidente della Ffr non va un granché: la nazionale arranca all'8° posto nel ranking mondiale, di fatto l'ultimo fra le - appunto - 8 storiche grandi potenze di Ovalia. E il penultimo ct, Guy Noves, ha appena ottenuto un milione di euro di risarcimento per essere stato cacciato a nemmeno metà del mandato. L'ultimo ct lo conosciamo bene: è Jacques Brunel, ex allenatore dell'Italia, ingaggiato pro tempore fino ai Mondiali autunnali in Giappone. Con i maligni che sostengono che tanto la formazione la fa Laporte.

Di fronte a queste mestizie, il presidente ha stupito tutti lanciando il referendum contro il dogma che vuole i francesi da sempre allenati da un francese. Un'autarchia che storicamente regge ormai solo in Nuova Zelanda, Sud Africa e (quasi) Argentina. Il sogno di Laporte è il neozelandese Warren Gatland che ha reso ancor più leggendari il Galles e i Lions. 

Ebbene, gli oltre 1.200 club francesi hanno risposto picche dopo essersi mostrati piccati per essere stati tirati in ballo: "Ma come? Abbiamo eletto un presidente perché scelga lui il ct, perché coinvolgerci? Che si prenda le sue responsabilità. Che pensi, più che al passaporto del tecnico, a quale strada seguire per riportare in alto la nazionale" hanno sbottato parecchi presidenti di club di una nazione, prima ancora che di una federazione, in cui il presidenzialismo ha profonde e possenti radici. Una nazione in cui i campionati di vertice Top 14 e Pro D2, imbottiti di stelle forestiere strapagate, producono utili televisivi che valgono un Perù e con interessi non sempre coincidenti con quelli della nazionale. Anzi. 

A ogni modo il 59% dei club ha detto "no" a un ct straniero: quindi sonora bocciatura della proposta. Ma non basta, perché in realtà solo il 51% dei club ha votato. Un astensionismo pesantissimo che fa ancora più male a  Laporte, che puntava a rilanciarsi coinvolgendo la base della piramide del rugby dell'Esagono. Macché, adesso vallo a trovare un ct francese gradito a Laporte e che faccia anche il bene della nazionale. Vedremo.

L'ITALIA
Valicando le Alpi e ricordando che l'Italia non ha un ct italiano esattamente da 20 anni (e l'ultimo, Massimo Mascioletti, divenne, senza colpe, solo una breve parentesi), chissà se chi non concede attenuanti al ct irlandese O'Shea alla guida degli azzurri (15 ko su 15 match in tre edizioni del Sei nazioni) sogna un referendum simile a quello francese.

"Volete voi - potrebbe chiedere il presidente federale Gavazzi agli 800 club italiani - un ct italiano per la nazionale?".  

Solo che in Italia servirebbe una scheda-lenzuolo nella cabina referendaria: "Volete voi un ct sì italiano, ma di Rovigo? O di Treviso? O di Padova ? O di Mogliano? O di Rosolina? O di Selvazzano? O di Villadose? O di Bassano? O di Rho? O di Faenza? O di Prato ? O di Caltanissetta? O di ...".
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