La lettura di questa elezione dice che qualcosa può cambiare nel mondo della dirigenza del calcio che avrà ripercussioni su tutto. Può cambiare, questo mondo, con quelle che saranno le riforme promesse da Gravina nella sua Lega, ossia le seconde squadre da contrapporre alla multiproprietà volute la Lotito ma anche al taglio della mutualità, quei soldi (non molti) che arrivano dalla serie A e creano, inevitabilmente, un legame e quasi un obbligo che può portare a uno scambio di voti.
Gravina, un dirigente preparato, vorrebbe - il condizionale è sempre d’obbligo - un’unità di intenti dei suoi presidenti con i quali far partire una rivoluzione. Dopo 18 anni di dominio di Mario Macalli, si volta pagina guardando oltre. Oltre vuole dire via Allegri da conquistare partendo con un piccolo tesoro che Gravina, o qualche suo alleato forte, ha già in tasca. Parliamo del 17% dei voti che la Lega Pro ha in vista dell’elezione del presidente federale. Forse non avrà tutta questa fetta, ma la percentuale è elevata. In chiave elezioni, i Dilettanti valgono il 34%, la serie B il 5%, la A il 12%, i calciatori il 20%, gli allenatori il 10% e gli arbitri il 2%. Già adesso, Gravina in consiglio federale può passare all’opposizione potendo contare quasi certamente sull’appoggio dei calciatori e degli allenatori che valgono, insieme, il 30%.
Qui, sia chiaro, non si tratta di conquistare una poltrona per il vanto di possederla, di essere “il presidente”. Qui c’è un sistema da modificare, e il problema non è certo Tavecchio con le sue battute, i suoi Opti Poba, le sue telefonate. Il problema è il sistema che va cambiato con tutto il suo contorno.
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