Lei parla di “famiglia” e di abbandono, perché?
«Che cosa altro sono questi saluti allo stadio? La grande “famiglia” si riunisce per separarsi dal suo “parente” amato. Una
separazione non aspettata e, soprattutto, non accettata. Per Totti è stata una festa, pur commovente. Ora no».
L’addio non voluto dal giocatore viene vissuto dalla tifoseria come un tradimento?
«Certo, si è obbligati a separarsi da un idolo che faceva parte di un tuo credo, di un sogno. Un insulto alla fedeltà».
Perché De Rossi è sempre stato fedele alla squadra?
«Perché la tifoseria ancora non si è ripresa dal saluto di Totti e ora ha di nuovo un vuoto da colmare. Non si è sentita rispettata, appunto, nella fedeltà».
Lei disegna proprio un senso collettivo di smarrimento...
«Certo. Perché nulla lasciava presagire una decisione di questo tipo. Perché anche Daniele, parlando, ha lasciato trapelare rigore e amarezza».
Per questo parla di dolore profondo?
«È uno strappo a tutti gli effetti. E’ lo smembramento di un simbolo che rappresentava un’epoca. Un’appartenenza che, per molti, va oltre il tifo per una bandiera».
Che vuol dire?
«La squadra, lo vediamo da diversi comportamenti, diventa il vero serbatoio emozionale. E anche i giocatori hanno un ruolo. Fanno parte di questa “famiglia” nella quale si è investito».
Che cosa potrebbe scatenare un sentimento come questo?
«La tifoseria non si è sentita calcolata in questa operazione che ha allontanato “Capitan futuro”. I “grandi” della famiglia hanno deciso per tutti».
Senza preoccuparsi delle conseguenze?
«La sensazione, sugli spalti, è questa. Non vi siete preoccupati di noi e non avete capito che due anni sono pochi per riprenderci dal saluto del Capitano».
Quindi, domenica?
«Si dovrà tener conto di questi stati d’animo, amplificati dalla vicinanza e dal luogo. La tristezza nei sessantamila può svelarsi anche con l’aggressività».
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