Roma, De Rossi: «In 10 mesi nessuna chiamata, avevo capito»

Roma, l'addio di De Rossi: «in 10 mesi nessuna chiamata, avevo capito»
di Gianluca Lengua
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Martedì 14 Maggio 2019, 12:48 - Ultimo aggiornamento: 19:38

La storia fra Daniele De Rossi e la Roma termina qui. Per ora. E finisce non senza dolore. Giacca blu e una maglia grigia. Lo sguardo lucido dall'emozione. L'addio di DDR ai colori giallorossi si consuma in una sala stampa di Trigoria gremita. Davanti a lui c'è tutta la squadra, indossano la maglietta della Roma con stampato il suo nome e al posto del numero il simbolo dell'infinito. Totti, fratello di mille battaglie, è sulla porta. Il tecnico Ranieri, inevce, non c'è. A fianco a De Rossi l'ad Guido Fienga, a cui spetta l'onere delle prime dichiarazioni: «Abbiamo deciso con la società di non rinnovare il contratto con la società l’anno prossimo. Abbiamo espresso il desiderio di avere Daniele in organico con la società, personalmente quasi egoisticamente ho sperato e ancora lo faccio che Daniele voglia accogliere l’idea di starmi accanto. Mai in questo momento mi avrebbe fatto comodo di avere un vice come lui per valutare e prendere delle decisioni in un contesto in cui l’azienda si è resa conto di prendere delle decisioni per correggere scelte prese in passato. Per lui questa proposta è sempre valida, per la Roma e per il managment della Roma. Mi auguro che quando deciderà di accogliere questa proposta di accelerare i progetti che abbiamo intenzione di sviluppare. Daniele ha espresso altre idee che rispettiamo e lui illustrerà le sue intenzione. Io sono arrivato da poco e sono onorato del confronto aperto trasparente e leale e spero possa cogliere tutte le possibilità che ci saranno in futuro qui da noi».
 



Perché la decisione tardiva. «Quest’anno la società ha subito diversi scossoni dirigenziali, abbiamo avuto diversi problemi e il ritardo nel parlare con Daniele è figlio di quello che è successo quest’anno. Quando mi sono reso conto che non si poteva prendere una decisione di conferma e c’è un’assoluta consapevolezza di errori commessi, ho spiegato a Daniele che la società non poteva considerarlo come giocatore. Lui è una persona pronta e matura ad aiutarci a riorganizzare questa azienda. Lui è dirigente già da un pezzo, ma vuole continuare a giocare a pallone. Lui è pronto ad assumersi queste responsabilità ed il motivo per cui l’ho invitato e caldeggiato non soltanto a occuparsi di questo ma ad aspettare eventuali scelte dell’allenatore. Lui è in grado di aiutarmi e forse un domani di sostituirmi. Il discorso è stato condizionato dalle vicende e problemi dell’anno ma che poi ha preso le mosse da considerazioni che fa l’azienda. Oltre ad esserci un apprezzamento sul livello, la maturità e la conoscenza che lui ha dato e potrebbe continuare a dare. Abbiamo apprezzato come lui ha accettato la nostra scelta. Potrà fare qualsiasi cosa e lo dico a nome di tutta l’azienda. Quando deciderà di mettersi la giacca per amministrare il club che conosce meglio di tutti saremo pronti ad accoglierlo».

Il distacco tra club e De Rossi. «Non capisco da dove emerga il distacco tra noi e Daniele, abbiamo un’idea diversa dall’aiuto che Daniele può dare a questo club. Non sono mai entrato in discussioni sui soldi».

Poi è il turno di un emozionatissimo Daniele De Rossi

Il passato. «Non tornerei indietro, non cambierei una virgola, se avessi la bacchetta magica metterei qualche coppa nella mia bacheca. Nel corso di questi anni qualche errore è stato commesso e sarebbe stato impossibile il contrario».

Il rapporto con i tifosi. «È un dato di fatto, lo hanno dimostrato in tanti anni di tenere veramente a me e ho fatto la stessa scelta io a non cambiare per una ipotetica coppa. Ho avuto l’opportunità di andare in altre squadre, ci siamo scelti a vicenda. Lo stato attuale delle cose vede un grande amore che penso continuerà sotto forma diverse. Magari nei prossimi anni mi vedranno intrufolato con il panino e la birra a tifare i miei amici».

Il futuro da calciatore. «Mi è stato comunicato ieri, ma io ho 36 anni e non sono scemo. Lo avevo capito, se nessuno ti chiama per ipotizzare un eventuale contratto la direzione è quella. Ho sempre parlato poco perché non volevo distrarre squadra e tifosi. Riguardo al futuro io ringrazio l’amministratore delegato per l’offerta e per come mi ha trattato in questi mesi. Ringrazio anche Massara. La sensazione che c’era grande stima reciproca era foto e l’idea di andare avanti per altri due anni c’era. Però queste scelte si prendono globalmente a livello societario. Riguardo alle squadra qualcosa ho sentito, ma non ho sentito nessuno. Questa squadra poteva arrivare in Champions ma adesso è molto difficile, questa mattina sono arrivati 500 messaggi e adesso controllo se c’è qualche offerta. Io mi sento calciatore e mi sono sentito così tutto quest’anno, ho voglia di giocare a pallone e farei un torto grande se dovessi smettere così adesso».

La scelta del club. «C’è la società che sta lì per decidere chi deve o non deve giocare. Poi possiamo discutere sulla mia importanza nello spogliatoio o in campo, ma dopo le decisioni le prende la società. Se ogni anno dicessi faccio un altro anno poi qualcuno un punto lo deve mettere. Ci siamo parlati molto, ma le distanze creano incomprensioni di questo genere, spero le cose cambino. La società decide e non posso pretendere diversamente».

Uno consiglio ai tifosi. «Tecnicamente di consigli ai tifosi ne posso dare pochi. Io la Roma la amo da piccolo e così sono cresciuto, è un circolo vizioso. Quello che posso dire ai tifosi è di stare vicino ai giocatori, sono persone per bene e lo meritano».

Il capitano romano e romanista. «Il romanismo è qualcosa di importante ed è in mani salde perché Lorenzo e Alessandro possono continuare questa eredità. Non gli è stato chiesto di scimmiottare me o Francesco. C’è anche un Cristante che viene dal nord Italia, non è romano ma dà l’anima in campo. La Roma non ha bisogno di romanisti ma di professionisti, per vincere bisogna creare una squadra più forte e penso che la società sia orientata a cambiare questa situazione».

La preparazione all’addio. «Ho cercato mentalmente su come sarebbe stato. Non sarei stato felice anche se avessi scelto io, la mia macchina va in automatico. Il distacco con la società c’è perché io voglio giocare e loro non vogliono. Non ho rancore nei confronti di Guido e Ricky, parlerò un giorno anche con Pallotta e Baldini. Non me lo immaginavo, ma devo accettarlo perché altrimenti mi faccio male da solo. Se io fossi dirigente a un giocatore come me avrei rinnovato il contratto. Sono uno che dentro lo spogliatoio non crea problemi, ma sono sereno nell’accettare questa decisione, la metti in preventivo».

L’addio dei big. «Un piccolo rimpianto che ho avuto negli anni è che tante volte, anche nella passata stagione, è che la squadra è sempre stata forte. Poi c’era la sensazione di un passo indietro, alcuni si possono permettere una macchina e altri un’altra. È un rimpianto, ma non ne faccio una colpa. Spero che la Roma riesca a diventare quanto le altre squadre, qui a Roma tanti giocatori sono andati via e mi hanno chiamato dicendomi che stavano bene. Altri vanno via e vincono. Qui si sta bene, è una piazza caldo a per fare calcio, bisogna fare quel passo in più. Questa è una squadra che ha futuro, si dovrà sbagliare il meno possibile e negli ultimi qualcosa di sbagliato c’è stato».

Quando ha capito che sarebbe finita. «Sapevano tuti quanti che avevo un contratto in scadenza, non c’era mai un colloqui anche se Monchi mi aveva rassicurato. poi non ho chiesto nulla a nessuno. Questo scombussolamento societario non ha aiutato, anche con Francesco c’era qualche incertezza e sa fai due più due lo capisci. Io questa estate andrò in vacanza, ho bisogno di passare un po’ di tempo senza pensare al calcio, ma presto lo farò. Dove andrò? Vediamo. È una cosa nuova, devo parlare a casa, con la mia famiglia, con il mio procuratore e con me stesso».

Il passo per vincere. «Ogni anno c’è una partita nuova da voler cambiare. Forse la più fresca è Liverpool-Roma che è stato vivere un sogno. Rimpianti? Forse li ha anche Messi e magari ti dice non ho mai vinto il Mondiale. Ognuno vive di rimpianti perché è fatto di gente ambiziosa, la vittoria è il fine ultimo. Io ringrazio Dio per la carriera che ho fatto, fino a 15 anni non sembrava di aver grandi doti, avrei firmato per fare la carriera di mio padre in Serie C. Io ho fatto il mio lavoro in una squadra che amo tantissimo e con avversari stupendi. L?astio che sentivo sportivo nei derby, a Napoli, a Bergamo, a Reggio Calabria. Il calcio è tifo è anche un po’ di ignoranza. Sono contento di aver avuto nemici sportivi che si identificavano in me, questo significa che ero simbolo per qualcuno».

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