​Lazio, Acerbi la chiave dell’annata strepitosa: sa essere fenomeno senza apparire

Lazio, Acerbi la chiave dell’annata strepitosa: sa essere fenomeno senza apparire
di Emiliano Bernardini
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Mercoledì 19 Febbraio 2020, 07:30 - Ultimo aggiornamento: 15:34

Gioca, prega, vinci. E non necessariamente in questo ordine. Francesco Acerbi ha imparato sulla sua pelle che non esiste una linea retta da percorrere nella vita. Il rischio di perdersi è grande, soprattutto in un mondo restio a regalare una seconda chance. Ci vuole sudore, impegno, volontà e una fede d’acciaio per risalire quando il destino decide di buttarti a terra. A 31 anni, quando di solito in molti smettono di sognare lui ha trovato una nuova giovinezza. La faccia pulita e il sorriso vincente di chi ha scalato montagne da solo. Di chi ha superato limiti personali e sconfitto mali che fanno paura. Anni bui, duri. Anni di provincia che ti cresce ma ti “nasconde”. Che ti costringe a fare infiniti chilometri con il pullman per andare ad allenarti ma che al tempo stesso ti tempra molto più della città. Al diavolo la maglia del Milan indossata in un momento sbagliato. Il rossonero che si fa neroverde. Il Sassuolo come primo gradino per la risalita, la Lazio per toccare il cielo con un dito. Alba di una rinascita. In tutti i sensi. Sportiva e umana. Sul campo di calcio e nella vita. Il tumore che toglie il respiro e la terra sotto i piedi. L’operazione, la chemioterapia e «l’ingresso in un mondo parallelo, più vicino di quanto immaginassi e che non abbandoni più». I tatuaggi a nascondere le cicatrici dell’anima. Da quel giorno di sei anni fa, però, ha smesso di avere paura. Un lungo cammino per diventare uomo. Per diventare maturo. Gli eccessi che lasciano il posto alla normalità. Ecco sì, Acerbi non ha il killer instinct di Immobile, non è stato toccato dal Dio del calcio come Milinkovic, non ha la magia nei piedi come Luis Alberto ma ha un dono molto più raro: la normalità. 

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Ace, come lo chiamano tutti nello spogliatoio biancoceleste, è il classico ragazzo della porta accanto. Quello che non ti ruba l’occhio al primo sguardo ma è capace di farti innamorare perdutamente con il tempo. Inzaghi e la Lazio non possono più farne a meno. E’ stato capace di annullare Cristiano Ronaldo e Lukaku. E’ uno stakanovista: 82 presenze su 83 partite, ne ha saltata solo una per squalifica lo scorso anno. Un totale di 7.346 minuti giocati. La ciliegina sulla torta? I 6 gol segnati di cui uno con la maglia Azzurra. Si diceva della fede. Incrollabile. Si è aggrappato con tutte le sue forze al cielo quando la malattia lo stava tirando giù. Da allora prega. Due volte al giorno, una la mattina e una la sera, ma - come dice lui - «senza diventare un santo». Non è certo un personaggio semplice. Dietro quel sorriso che sfoggia sempre c’è un uomo solitario. Un uomo che non riesce ha trovare la giusta serenità. Colpa dell’ l’inquietudine che lo accompagna da sempre, «un martello che mi batte sempre in testa». Con il tempo è migliorato molto anche se per dare il meglio ha bisogno sempre di trovare un avversario da battere. Non ama le illusioni ma la realtà. 
 



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E’ il leader silenzioso del reparto meno battuto d’italia: appena 21 gol subiti. I compagni lo seguono come si fa con un generale. Con lui tutti si sentono più sicuri e non è un caso che la difesa della Lazio abbia trovato la giusta quadratura. Non si risparmia, anzi. E’ sempre pronto ad immolarsi per la causa come ha fatto domenica sera sull’ultimo tiro di Lukaku. Ha conquistato il cuore dei tifosi laziali e la stima di Mancini. Un posto meritatoquello che è riuscito a ritagliarsi con la maglia azzurra. Eccolo allora scavalcare Romagnoli nelle gerarchie e diventare compagno affidabile di Bonucci. Non è un caso che senza Chiellini abbia guidato lui la difesa della Nazionale. Ha le idee molto chiare. Vuole vincere con la maglia biancoceleste e confermarsi con quella azzurra. E il futuro? Anche quello ce lo ha bene stampato in mente: Vuole giocare fino a quaranta anni, poi farà l’allenatore.
 
 

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