Lazio, i segreti per esulTare: storia di Igli, un ds nato per caso

Lazio, i segreti per esulTare: storia di Igli, un ds nato per caso
di Emiliano Bernardini
3 Minuti di Lettura
Sabato 13 Gennaio 2018, 07:30 - Ultimo aggiornamento: 21:28
Ha imparato a nuotare nel mare magnum del calciomercato e da delfino (di Lotito) è diventato uno squalo. Nel senso buono s’intende. Igli Tare, ad oggi, è uno dei migliori direttori sportivi in Italia. Dieci anni di gavetta in biancoceleste e ora è il primo della classe. Se la Lazio vola in classifica e strappa applausi non è solo merito degli assist di Luis Alberto o dei gol di Immobile ma anche di chi quei giocatori li ha portati a Roma. Il suo contratto sta per scadere ma rinnovarlo assicura «sarà una formalità. E’ l’ultimo dei miei pensieri. Con il presidente Lotito c’è stima e fiducia reciproca». Oggi tutti si congratulano con lui ma gli inizi non sono stati dei più semplici: «ho dovuto imparare tutto da solo. Non è stato facile perché non avevo esperienza e soprattutto nessuno credeva in me. Il merito è di Lotito che ha visto più lungo degli altri affidandomi questo ruolo». Tolti gli scarpini ha dovuto indossare la giacca e la cravatta e alle spallate in campo ha dovuto sostituire “gli sgambetti”. Meno clava e più fioretto. Non facile per chi nella vita ha giocato come centravanti d’area di rigore. La parte più difficile, all’inizio, è stata proprio quella di calarsi in questa nuova veste fatta di diplomazia e parole e poi la mancanza di fiducia da parte degli addetti ai lavori. Il non sentire il sostegno della squadra e della stampa, come ha più volte rivelato. 

SEMPRE SUL PEZZO
Periodi duri fatti d’insuccessi e critiche. «Sono state proprio quelle a farmi andare avanti. Io sono fatto così: più mi attaccano e più mi carico. Ero consapevole che prima o poi avrei raccolto i frutti del mio lavoro» sottolinea il ds albanese. Ha fatto molto di più, meritandosi gli allori. Ha imparato moltissimo dagli errori del passato. Il colpo migliore? «Sicuramente Milinkovic. Non solo perché è uno dei talenti più forti in circolazione ma anche perché sono riuscito a fargli mantenere la parola data all’inizio». Non solo sorrisi perché in questi dieci anni Tare ha collezionato anche qualche rimpianto. Quello che brucia di più? «Senza dubbio Cavani. In quel periodo non c’erano le condizioni “politiche” affinché potesse passare dal Palermo alla Lazio» ammette. Ormai fa parte del passato ma quando lo racconta si sente che la sua voce s’incrina ancora un po’. Ha un fiuto eccellente e lo dimostrano tutti quei “Carneadi” rivelatisi autentiche scoperte. Il suo carattere duro fa sì che non sia mai soddisfatto a pieno del suo lavoro e che possa fare sempre meglio. «Questa è sicuramente la Lazio più forte che ho costruito nei miei dieci anni, ma non ci si può sedere perché bisogna continuare a lavorare per raggiungere altri obiettivi». Parole che suonano come musica per i tifosi laziali. Tare lavora da solo, la Lazio non ha una rete di osservatori. Nel tempo il ds albanese ha stretto una serie di amicizie che lo aiutano nello scouting.

«STEFAN RESTA»
Le piattaforme virtuali sono un valido supporto al suo lavoro ma la parte fondamentale è il contatto umano. Parla con tutti i giocatori che visiona e lo fa più di una volta per capire se dietro le giocate si nasconde davvero un campione. Non stacca praticamente mai la testa. Roma è una piazza complicata. La Lazio poi è un mondo a sé: «Qui bisogna fare i conti con tutto» rivela. I soldi poi non aiutano, ma a lui piace fare il calcio con le idee. Le grandi squadre sono ancora lontane ma il gap si può colmare in altri modi: «E’ fondamentale che l’ambiente sia unito. Le critiche vanno bene ma se sono costruttive. Sbagliato attaccare sempre a testa bassa alla prime difficoltà. E’ anche questo che fa fare il salto di qualità». Ora bisogna convince Stefan de Vrij a restare: «Vedrete che sarà cosi».
 
© RIPRODUZIONE RISERVATA