Lazio, non solo arbitri e Var: ora serve l'autocritica

Foto TEDESCHI
di Alberto Abbate
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Martedì 20 Marzo 2018, 07:30
Stanchezza e nervosismo, il mix col Bologna è esplosivo. E produce una prestazione scialba, condita dall’amaro (seppur provvisorio) addio alla zona Champions e dalle solite polemiche arbitrali post partita. Perché come a Cagliari la Lazio reclama un rigore, questa volta per una spinta su Felipe al limite dell’area, ma adesso sta diventando controproducente pure quest’esasperazione. Perché è vero che è giustificata da evidenti torti, questa rabbia, e sarebbe peggio la rassegnazione, ma è altrettanto vero che rischia di tramutarsi in isteria in campo e un alibi fuori.
 
Domenica sera i biancocelesti hanno pagato a livello fisico le fatiche di Kiev e anche Inzaghi c’ha messo del suo: la formazione del primo tempo, un po’ forzata dalle assenze, è sembrata squilibrata e leggera. Così il semplice pensiero dell’imminente ingiustizia da Vargogna l’ha subito schiacciata. E appesantita nel finale con le futili proteste del tecnico e d’Immobile con il quarto uomo per uno sciocco minuto di recupero in più: «A caldo magari si va sopra le righe - l’analisi lucida di Parolo - ma la gara andava vinta nei 90’ prima, non a qualche secondo dal gong». Tradotto: bisogna anche cominciare a guardare le proprie responsabilità, altrimenti la persecuzione diventa una pericolosa mania.

PAURA
Il terrore del complotto dietro l’angolo sta incrinando alcune convinzioni biancocelesti, innalzando le giustificazioni e condizionando le prestazioni. I tifosi giustamente sono stretti intorno alla squadra, l’hanno difesa scendendo in piazza a via Allegri dopo 18 anni prima del match. Ma, se la Lazio inizia davvero a pensare – come i suoi supporters – che è tutto già scritto e deciso dall’alto per la Champions, non fa altro che fare il gioco delle altre concorrenti. Rischia di perdere il veleno d’inizio stagione, quello iniettato sugli avversari per raggiungere obiettivi inimmaginabili, quello visto in Europa per ribaltare i risultati con Steaua e Dinamo e raggiungere i quarti. Nelle ultime settimane la spinta decisiva è arrivata da Lucas Leiva, uno nato in Brasile, cresciuto a pane e Premier, quindi avulso da qualsiasi teoria massonica italiana. Uno che ha continuato a correre come se ci fosse sempre un domani, in cui si contano i numeri nei piedi, non i punti tolti con le mani: «Sbagliamo troppi passaggi e dobbiamo imparare a vincere anche quando non giochiamo bene». Nemmeno una parola sulle direzioni arbitrali.

NOVE
La Lazio avrà pure nove punti in meno per colpa di fischi sbagliati, ma è ancora appaiata a Inter e Roma. Se lotterà sino all’ultimo sarà più facile mostrare al mondo quanto la sua sorte sia stata eventualmente modificata. Col Bologna, per esempio, la formazione biancoceleste la sfortuna se l’è cercata. Nemmeno stavolta basta il nono assist di Luis Alberto per invertire il ruolino di marcia all’Olimpico. In trasferta 30 punti in cascina (meglio di lei hanno fatto solo Napoli e Juventus con 38 e la Roma con 31), ma non possono passare inosservate le quattro sconfitte e i tre pari in casa: appena 24 punti, il settimo rendimento del campionato. Così Luis Alberto per un momento dimentica il mondiale e ragiona da autentico laziale: «Restano da giocare altre nove finali! Non possiamo pensare a nient’altro che non sia il nostro obiettivo». Se a maggio non sarà l’Europa che conta, torneremo a parlare di rivolta. In questa sosta serve riposoalle gambe e soprattutto alla testa. Per scrollarsi di dosso questo pessimismo e ritrovare la fiducia perché ancora nessuno ha già fatto saltare la festa.
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