Commuove Pelé con le stampelle: «Dio mi ha dato nuovi scarpini»

di Piero Mei
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Mercoledì 17 Gennaio 2018, 00:33 - Ultimo aggiornamento: 10:10
Quell’uomo di una certa età, pure con la vita che s’è allungata, che s’appoggia al deambulatore, volava. Un giorno, al Messico, finale mondiale di calcio del ‘70, saltò fin sulle nuvole.
E Tarcisio Burgnich, l’azzurro che saltò con lui, ha sempre raccontato tra l’ammirato e l’incredulo che, tornato con i piedi a terra, l’altro era ancora lassù e il pallone era nella porta dell’Italia. Pelè era il migliore di allora, forse il migliore di sempre (la diatriba continua: «Maradona è cchiù meglio ‘e Pelè», i palati più raffinati pensano a Crujff, i postmoderni oscillano fra Messi e Cristiano Ronaldo). L’immagine del campione che deve essere sempre “giovane e bello”, e per sempre, come restavano fin dall’Antica Grecia i campioni di Olimpia, è ora struggente, per quanto O’ Rey dichiari sorridente che Dio gli ha dato nuovi piedi per giocare a pallone.

È struggente come quella di Mohammed Alì tremante vicino al braciere di Atlanta ‘96, quando il morbo di Parkinson cominciava a metterlo alle corde, faccenda che era riuscita a pochissimi pugili. Il tempo passa implacabile e non puoi farci niente: se sei Pelè hai sempre potuto fare in modo che i fatidici novanta minuti non fossero mai fatali perché, come quella volta al Messico, potevi segnare in tutti i modi, destro, sinistro, o le mille altre maniere che fanno le cronache di oggi. Anche in rovesciata, come in quell’eterna sequenza che vide Pelè protagonista nel film “Fuga per la vittoria”.

Non si riesce ad immaginare un Supereroe con il deambulatore. Eppure a guardarlo, con la sua camiciola fuori dei pantaloni che gli cascano abbondanti sui piedi che conoscevano ogni magia, puoi perfino riconoscerlo se t’è capitato di vederlo dal vivo o nelle figurine. E se qualcuno non lo riconoscesse sappia che è Pelè, O’ Rey, il migliore di sempre. «Quando vidi Pelè giocare, mi venne voglia di appendere le scarpette al chiodo», disse Just Fontaine, il francese che lo vide al mondiale del ‘58 in Svezia. E lì Fontaine fu il capocannoniere.
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