De Rossi story, tra passato e futuro: «Mi vedo come allenatore, ma...»

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Giovedì 18 Ottobre 2018, 16:24 - Ultimo aggiornamento: 19 Ottobre, 01:00

“Avevo 11 anni, 24 anni fa, la prima volta che sono entrato a Trigoria, l’ho fatto insieme ad altri bambini. Ci hanno dato il materiale e mi ricordo la camminata con tutti i campi della Roma. Ho rifatto quel percorso tra i campi per tanti anni, ma quel giorno me lo ricorderò per sempre”.
 
Quando è arrivato il momento in cui hai detto 'io farò questo'?
Dopo, ma prima le cose erano diverse. Ora ci sono i social, c'è youtube, questi canali. Ho visto ragazzi giovani che a 12-13 anni hanno già il profilo social e il logo depositato con chissà quanti followers. Prima invece per i ragazzi non c'era la percezione che si potesse diventare dei campioni, perché eri un bambino e avevi fatto qualcosa di buono prima. Io lo avevo fatto all'Ostiamare, ma poi ti accorgi che sono tutti bravi come te. La competizione aumenta e non c'era quello sbocco mediatico che ti poteva far pensare 'sono diventato forte'.
 
Passeggiando tra i viali del Fulvio Bernardini…
"Sono cambiate tante cose per fortuna, è davvero bella Trigoria ora. Prima c'era la cappella per chi voleva andare a messa, penso di esserci entrato una volta. Ne ho fatti di ritiri qui, ma anche in questo le cose sono cambiate. C’era chi ti portava in ritiro da due giorni prima della partita e chi per niente, come Spalletti, Di Francesco e Luis Enrique. A lui voglio molto bene, conoscerlo è stata una esperienza piacevole. Un calcio diverso, una mentalità diversa, il divertimento per raggiungere la vittoria anche se comunque quando perde si avvelena. C'è l'aspetto ludico al primo posto. In generale questi ultimi anni sono quelli in cui mi sto divertendo di più, forse perché sono maturato, ho una scorza più dura, prima cose che mi toglievano 3 giorni di sonno ora mi tolgono 5 ore. I momenti negativi passano come tutti gli altri. Ho imparato a vivere meglio questa professione e il mio legame con questa squadra. Il legame con questa squadra ti porta via tanta energia mentale".
 

 

 
Su di te tante storie.
Sì, sono leggende metropolitane, magari qualcuna è anche vera. Poi però nessuno ti viene a dire niente in faccia. Il mio essere in una certa maniera mi ha creato del distacco con una parte di questa città che magari ha provato a combattermi, ma allo stesso modo ha generato anche un amore forte con una grande parte di tifosi e di romani, perché ci metto in mezzo anche i laziali. Io qui ci vivo bene, davvero bene. Le leggende metropolitane mi hanno dato fastidio, perché hanno dato fastidio a chi mi stava vicino. Se c'è chi ti viene a chiedere a casa 'ma è vero che hai fatto questo...?' Se ne possono inventare tante di storie, ma poi vado io in campo e ho sempre fatto capire di essere importante e di essere un giocatore forte e di aver scelto di dimostrarlo qui. Alla lunga si esce sempre fuori.
 
Qual è il più grande rimpianto?
Se potessi tornare indietro rigiocherei quel Roma – Sampdoria, magari mi metterei in marcatura a uomo su Pazzini. È la gara che ci poteva dare quel trionfo che quella squadra avrebbe meritato. Di partite da rigiocare ce ne sarebbero anche altre, anche in quella stessa stagione, se avessimo vinto altri incontri non avremmo avuto bisogno di quei tre punti con la Samp. Anche in altre stagioni partite che potevano farmi vincere qualche trofeo. Rigiocherei anche Liverpool-Roma: avevamo iniziato benissimo e poi è finita con uno scarto troppo grande rispetto a quanto dimostrato in campo".
 
Una che invece vorresti rigiocare per rivivere quelle emozioni?
Non lo so, io dico sempre una frase alla fine della partita, sia contro l'ultima che a San Siro: 'Ma quanto è bello vincere?' La fame, il dolore, lo stress... Passa tutto!
 
La criosauna.
Nel calcio, come a Trigoria, sono cambiate tante cose. Questo è un bidone pieno di ghiaccio, ma serve quando devi giocare tante partite. L'ho fatto nell'Europeo in Francia, ma era molto più grande e ti sembrava di dover morire. E’ una roba che preghi, piangi… Ci devi stare 3 minuti, l’altra è proprio tremenda, guardi quanto manca e vedi 2 minuti e 50, poi riguardi e sono 2.45 e ti sembra che è passata un’ora”. ‘Però serve’ gli sottolineano: “Serve…dicono che serve (ride, ndr), non lo so, alla fine mangi bene, dormi abbastanza, ti alleni bene, fai prevenzione. Questa è un qualcosa in più sicuramente…
 
Serve anche per allungarsi la carriera.
Un calciatore la carriera se la allunga da solo. Negli anni c'è stato un cambio radicale per me nell'affrontare il calcio, non che prima facessi le ore piccole o cose strane. Ma ci stai più attento e sai quello che puoi e non puoi fare, poi ti ritrovi tutto e non è una casualità se le mie ultime stagioni stiano andando bene, ho avuto più cultura del lavoro, cura dei particolari. Sono sempre stato un professionista serio, legatissimo a questo lavoro, ma ora lo faccio con maggiore conoscenza.
 
Hai un profilo Instagram.
Sì, ho pochissimi amici, metto qualche mi piace o qualche commento. Non sono contro i social, la mia famiglia li usa, non li demonizzo ma demonizzo il fatto che diventino una ragione di vita o un impegno. Magari all'allenamento si arriva pettinati perché poi ci sono le foto che finiscono su Instagram. Io la mattina alle 10 entro con le caccole agli occhi e spettinato perché l'importante è altro. I giovani ci pensano e mi fa sorridere.
 
Sul ritiro.
Oh, iniziate ad abituarvi all’idea, non manca tantissimo. Tanti mi dicono 'ha smesso Francesco e smetti pure tu, siamo rovinati'. La Roma va avanti però, è andata avanti dopo Di Bartolomei, Conti, Giannini, dopo Falcao e le peggiori delusioni. Stiamo andando avanti anche senza Francesco, che è forse la cosa più dolorosa per i tifosi, figuratevi se non si può superare il post carriera del sottoscritto.
 
Il futuro?
Sono molto volubile, magari se mi fa male il ginocchio per cinque giorni di seguito, penso che voglio smettere e dico a mia moglie che questa estate ce ne andiamo in vacanza per tre mesi. Appena sto bene, penso subito alla prossima gara, alla Spal e al CSKA. Ma sono coerente, non voglio fare figuracce ed essere un peso, non voglio essere qualcosa che toglie e ad ora non lo sono. Ho già le idee chiare sui prossimi anni. Non lo dico mai, me lo tengo per me, mi tengo la libertà di poter cambiare idea, sono un po’ egoista in questo. Il mio corpo me le dice le cose, mi dice 'vai piano'. Finché non si vede in campo ma è solo fatica fisica nella preparazione e nel recupero va bene, ma se dopo tre giorni hai ancora dolore e in campo vai più piano degli altri allora quello è il momento. Tante gente mi riconoscerà l'impegno profuso per questo gioco.
 
Farai l’allenatore?
Ho grande passione per questo sport, è l’unico ruolo in cui mi vedo nel prossimo futuro. Dovrò capire se avrò voglia e fame di sottoporre la mia famiglia allo stress dei risultati, dei viaggi, della lontananza o degli spostamenti se loro ti seguiranno o meno, magari con te che sei sempre stressato e pensi alla prossima partita. Questo mi preoccupa, fare altri 24 anni a questi livelli. Ad oggi non so quante cose so fare, dovrei studiare ma non mi spaventa. Restare nel mondo del calcio mi sembra una cosa abbastanza logica, poi devi essere anche capace. Conoscere il calcio è una cosa che mi attribuisco, ma non vuol dire essere un bravo allenatore. Ci sono tante cose oltre all'allenamento e al cambio formazione. Dovrò imparare, ma un po' di passione ce l'ho.
 
Se non avessi avuto il dono di giocare a calcio, che vita avresti fatto?
Le nostre vite sono talmente condizionate da questo lavoro sin da quando siamo piccoli, che non sai che sbocco avrebbe potuto avere la tua carriera scolastica o facendo un altro lavoro. Mi piacciono le lingue e viaggiare, ho un amico con un’agenzia di viaggi e lui va a conoscere realtà che temo io non vedrò mai, specialmente se continuerò a fare questo lavoro, non avrò il tempo materiale per andare a visitare ogni paese che mi piacerebbe andare a vedere.
 
Il primo della lista di quelli che vorresti visitare?
Ce ne sono diversi, gran parte del Sud America, Argentina, Buenos Aires, c’è un turismo legato al calcio. Andare a La Bombonera a vedere Boca-River, l’ho sempre detto. Ma anche andare a vedere il Superbowl, un po’ di football americano che è il mio grande amore. Sud America ma anche Cina. Sono andato in Giappone e sono rimasto totalmente innamorato, mi piacerebbe scoprire quella parte del mondo.
 
Ti hanno detto qualcosa per i tatuaggi in Giappone?
Hanno avvisato che non erano tutti molto d’accordo. Abbiamo chiesto prima per evitare brutte sorprese, ci hanno detto dove non c’erano problemi e dove era il caso di coprirsi. Siamo ospiti, si va con i piedi di piombo e grande rispetto per le tradizioni. La gente anziana non accetta molto i tatuaggi perché in passato erano legati ai mafiosi, alla Yakuza. Non sembro un mafioso (ride, ndc).
 
La prima maglia che hai scambiato?
Mi ricordo 2-3 giocatori che mi hanno detto di no a 19 anni. A fine partita gli ho chiesto la maglia e mi hanno detto che non potevano farlo. Un paio di italiani che mi piacevano tantissimo e facevano il mio ruolo che mi hanno detto di no. Ho scambiato la maglia con Gerrard, mio idolo storico. Non ho giocato contro Roy Keane però mi sarebbe piaciuto tanto scambiare la maglia con lui o fare un paio di contrasti alla maniera sua o alla maniera mia. Contro Gerrard vincemmo i quarti di finale dell’Europeo, festeggiamo perché avevamo vinto ai rigori. Scesi nel sottopassaggio dello stadio di Kiev e lui era lì che mi aspettava e che mi doveva dare la maglia. Sono piccole cose che cerco di imitare per essere disponibile, ci sono i ragazzi della Primavera che sono cresciuti guardandomi giocare e magari mi chiedono la maglietta. I magazzinieri sanno che devo arrivare con le buste con la scorta di magliette per tutte le partite per lasciare un ricordo come Gerrard. La cosa bella di questo lavoro è che mi sono venuti a chiedere maglie giocatori che ci fanno divertire, giocatori a cui non l’ho chiesta perché mi vergognavo. Sono quelle piccole cose che, soprattutto per chi non ha vinto tanto come me, ti lasciano un ricordo piacevole, anche se magari questi giocatori durante la partita ti hanno fatto 3-4 gol.
 
Come stai?
Quando guarisco, guarisco, non saprei fare dei pronostici sul rientro. E’una frattura, quando guarisce guarisce.
 
Ironia della sorte, se lo rompe Kolarov e tu ne parli. Te lo rompi tu e non dici niente…
Lì per lì non ho sentito un grosso dolore, era il sesto minuto quando mi sono fatto male, ma nel secondo tempo il piede era già gonfio. Ho capito che qualcosa si era rotto, ma la partita era in bilico ed era abbastanza difficile, in questo momento sono abbastanza delicate e importanti e c’è bisogno di tutti. Un motivetto che mi ripeto in testa è “Goditi ogni domenica, preparala al 200% e sarai soddisfatto, uscirai a testa alta“. Una cosa che mi hanno sempre riconosciuto anche quando le cose andavano male, prima potevi giocare bene e fare 1000 chilometri ma se perdevi eravamo tutti mercenari e indegni. Ogni tanto quest’anno, forse perché sono vecchio e faccio pena, mi è stato riconosciuto il fatto di fare buone prestazioni.
 
Sulla vittoria con la Lazio.
Sono meccanismi che scattano.
Dopo il Frosinone e vincendo il derby si è creata un po’ più di convinzione in noi stessi, anche chi zoppicava a livello di prestazioni è rifiorito in un secondo, basti pensare a Lorenzo Pellegrini. Dal momento in cui ha fatto il colpo di tacco è nato un giocatore nuovo e ci auguriamo rimanga così per 20 anni e con la stessa maglia. Il calcio è lavoro, è preparazione e tecnica, nei momenti negativi bisogna sostenere i giocatori, si dice “tifiamo solo la maglia“, i giocatori vanno sostenuti perché se sono supportati giocheranno meglio.

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