IL DISADATTAMENTO
Il ceco ha fallito ancora una volta l’opportunità di lasciare il segno, ma non è stato l’unico ad aver steccato clamorosamente la prestazione. Questo, ovviamente, non lo assolve; anzi, ogni gara sembra sottolineare sempre più il suo non adattamento nella/alla Roma. Come se sapesse sempre poco cosa fare e come farlo. Un corpo estraneo; un soggetto tattico indecifrabile. Si continua a dire: non è un esterno. Va bene. Ma, allora, è un centravanti? A Bologna ha fatto solo un paio di movimenti da attaccante centrale. Quindi? Quindi che attaccante, in realtà, è Schick? Di Francesco, con più o meno continuità, l’ha provato in più posizioni, l’ha fatto giocare da solo, gli ha messo accanto Dzeko, l’ha piazzato al fianco di altre due o tre punte eppure niente. Nada de nada. Eppure, e di questi siamo convinti, Schick non è pippone. Non lo è e non può esserlo per tutto quello che ha fatto vedere con la maglia della Sampdoria. Ma deve darsi una mossa, deve dare un segnale. Che non significa segnare uno e due gol a partita, ma anche soltanto farsi notare. Per una cosa bella, non per un pallone perso per strada senza un avversario nel raggio di tre metri. Oppure per un gol sbagliato di testa a porta vuota. La Roma lo ha aspettato, non gli ha messo alcun tipo di pressione addosso ma lui non può, non deve farsi attendere un altro po’. Perché il calcio, come la vita, è fatto di occasioni da cogliere al volo, e Patrik finora è arrivato sempre in ritardo all’appuntamento con la svolta. Lasciandosi sistematicamente alle spalle un presunto grande avvenire.
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