​Schick, un’altra prestazione shock da corpo estraneo

Schick, un’altra prestazione shock da corpo estraneo
di Mimmo Ferretti
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Domenica 1 Aprile 2018, 10:00 - Ultimo aggiornamento: 16:57
Poteva essere un trappolone e, a conti fatti, trappolone è stato. Perché il pareggio, stavolta, è realmente una mezza sconfitta. Tornare a casa da Bologna con un solo punto è bottino magrissimo: il campionato a tre per due posti in Champions non prevedeva più il minimo errore, invece la Roma, ieri a Bologna, ne ha commessi troppi. Pagando pesantemente in classifica il suo sabato grigio. Il Barcellona c’entra poco o niente, e sarebbe davvero grave se la squadra avesse giocato avendo in testa l’appuntamento con Messi. La Roma non ha vinto la partita più per i propri errori che per i meriti dell’avversario. Che, ovviamente, si è chiuso ed ha cercato di ripartire in contropiede. Tattica semplice ma, a giudicare dal risultato, azzeccata. Troppi presenti assenti, nella squadra di Eusebio Di Francesco, e scaricare ogni tipo di critica nei confronti del solo Schick è esercizio eccessivamente gratuito. 

IL DISADATTAMENTO
Il ceco ha fallito ancora una volta l’opportunità di lasciare il segno, ma non è stato l’unico ad aver steccato clamorosamente la prestazione. Questo, ovviamente, non lo assolve; anzi, ogni gara sembra sottolineare sempre più il suo non adattamento nella/alla Roma. Come se sapesse sempre poco cosa fare e come farlo. Un corpo estraneo; un soggetto tattico indecifrabile. Si continua a dire: non è un esterno. Va bene. Ma, allora, è un centravanti? A Bologna ha fatto solo un paio di movimenti da attaccante centrale. Quindi? Quindi che attaccante, in realtà, è Schick? Di Francesco, con più o meno continuità, l’ha provato in più posizioni, l’ha fatto giocare da solo, gli ha messo accanto Dzeko, l’ha piazzato al fianco di altre due o tre punte eppure niente. Nada de nada. Eppure, e di questi siamo convinti, Schick non è pippone. Non lo è e non può esserlo per tutto quello che ha fatto vedere con la maglia della Sampdoria. Ma deve darsi una mossa, deve dare un segnale. Che non significa segnare uno e due gol a partita, ma anche soltanto farsi notare. Per una cosa bella, non per un pallone perso per strada senza un avversario nel raggio di tre metri. Oppure per un gol sbagliato di testa a porta vuota. La Roma lo ha aspettato, non gli ha messo alcun tipo di pressione addosso ma lui non può, non deve farsi attendere un altro po’. Perché il calcio, come la vita, è fatto di occasioni da cogliere al volo, e Patrik finora è arrivato sempre in ritardo all’appuntamento con la svolta. Lasciandosi sistematicamente alle spalle un presunto grande avvenire.
 
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