Viviamo in un Paese fondato sul lavoro dei nonni. Solo le mamme con nonni disponibili a tempo pieno, o che possono permettersi baby-sitter, riescono a lavorare. Chi ha le famiglie lontane, come me, non può farlo». Jessica C., 27 anni, una delle tante madri che non ha avuto scelta. E che va ad allungare la foltissima schiera di donne in uscita dal mondo del lavoro per dedicarsi alla cura familiare: il 53%, contro l'8% degli uomini, secondo una recente ricerca. «Ho due bambini prosegue Jessica uno di tre anni e una di un anno e due mesi e ho un compagno impegnato tutto il giorno. Prima della nascita dei bambini ero responsabile di sala di un ristorante romano. Vorrei tornare a lavorare ma non posso perché mia figlia non è stata presa all'asilo nido comunale. Una situazione assurda: hanno la precedenza le mamme che lavorano, e va bene, ma fino a quando non prenderanno mia figlia non potrò lavorare e dunque sarò sempre scavalcata. Dovrei pagare una baby-sitter per andare a lavoro, ma in quel caso tutto quello che guadagno lo dovrei dare a lei e non avrebbe senso».
Anche Valentina M. ha dovuto fare un passo indietro alla nascita di Margherita, e adesso ricominciare è tutt'altro che semplice. «La ricerca di una baby sitter a tempo pieno e il ricorso all'asilo nido sarebbero state la soluzione più semplici - racconta - ma per noi i costi in un caso e nell'altro erano troppo elevati. Ho dovuto prendere una delle decisioni più difficili della mia vita e lasciare il mio lavoro da buyer in una piccola azienda. Era lavoro che amavo, ma la mia priorità era Margherita. Ora lei ha tre anni e potrei riprendere in mano la mia carriera. Non vedevo l'ora di ricominciare, ma finora ho solo ricevuto dei no». È bastata una piccola paura per finire "fuori mercato".
Laura P. 3 anni fa ha lasciato il lavoro per prendersi cura di entrambi i genitori: lei ha difficoltà a muoversi, lui è malato di l'Alzheimer. «Non è stata una decisione facile, sacrificare la sua vita professionale», racconta la sorella.
IL REPORT
A rinunciare, in famiglia, è quasi sempre lei, come emerge dai dati dello studio di Nuova Collaborazione (Associazione nazionale datori di lavoro domestico) e redatto dal Centro di Ricerca e Documentazione Luigi Einaudi di Torino. Il lavoro di cura ancora troppo sbilanciato, con il 21% delle donne fuori dal mercato del lavoro frenate dagli impegni familiari, rispetto al 5% degli uomini. Proprio le famiglie meno abbienti soffrono di più questa diseguaglianza. «Il lavoro di cura ricade soprattutto sulle spalle delle donne, molte delle quali si trovano costrette a lasciare il proprio lavoro retribuito per dedicarsi ai membri più vulnerabili delle loro famiglie. Sono tante le storie che ascoltiamo quando le famiglie si rivolgono a noi per la ricerca di profili che li assistano in casa e nel supporto dei cari», spiega Federica Modolo, di Nuova Collaborazione (Associazione nazionale datori di lavoro domestico). «Questa realtà, non solo evidenzia una disparità di genere profondamente radicata, ma sottolinea anche una problematica socio-economica più ampia. Le donne che lasciano il lavoro per assumersi responsabilità di cura affrontano non solo una perdita di reddito, ma anche un impatto negativo sul loro sviluppo professionale, sulle opportunità di carriera, sulla sicurezza della famiglia e finanziaria a lungo termine».