Proteste pro-Palestina negli atenei Usa, l'accusa del sindaco di New York: uno su due è infiltrato

Il movimento pro-palestinese sarebbe rimasto pacifico se non fossero intervenuti degli «agitatori di professione»

Proteste pro-Palestina negli atenei Usa, uno su due è infiltrato. «Agitatori di professione»
di Anna Guaita
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Sabato 4 Maggio 2024, 07:41 - Ultimo aggiornamento: 5 Maggio, 12:29

Il movimento pro-palestinese sarebbe rimasto pacifico se non fossero intervenuti degli «agitatori di professione», accusa il sindaco Eric Adams. Finestre rotte, caos, paralisi dell'attività accademica che hanno investito la Columbia University sarebbero esplosi solo dopo l'arrivo di «elementi esterni». Di questi «agitatori» non esiste un profilo unico, e lo stesso sindaco ha fornito poche indicazioni. Sappiamo che il 47% degli arrestati non era membro del corpo studentesco o del corpo insegnanti, e il 35% aveva più di 30 anni. In questo gruppo di esterni ci sarebbero i vecchi attivisti dell'Occupy Wall Street del 2011 e di Black Lives Matter del 2020, ma sarebbero stati identificati anche esponenti della destra filo-Trump. Quel che è certo è che il timore di Adams è la" radicalizzazione", ovvero che le posizioni degli studenti possano essere esacerbate da queste «infiltrazioni» esterne che nulla hanno a che fare con i campus. Il grande quesito, ora che gli atenei entrano nella terza settimana delle proteste, è capire se si tratti di un movimento generazionale, che si allargherà, resisterà alle interruzioni dell'estate e avrà un peso politico sulle decisioni di Biden nei confronti di Israele e sulle elezioni di novembre, o se si tratti di un fuoco di paglia destinato a esaurirsi quando i ragazzi dovranno lasciare i campus per la chiusura estiva. Per adesso le manifestazioni anti-Israele e pro-Gaza continuano e gli interventi della polizia pure. Alla New York University è arrivata la polizia. Stesso copione alla New School. Sia Nyu che Ns sono università private e la polizia ha agito su richiesta. Anche a Parigi la polizia è intervenuta a Sciences Po per evacuare decine di studentii. Mentre una piccola parte degli studenti continua a protestare, in tutte le università Usa si stanno completando i preparativi per le cerimonie di commencement, cioè la consegna del diploma di laurea. Domani sono attesi 65 mila fra laureandi e parenti e amici ad Ann Arbor, all'Università del Michigan, e l'amministrazione sta attuando severi controlli di sicurezza. Il giorno dopo, gli edifici universitari chiudono o adottano orari estivi brevi mentre tutti i dormitori impongono l'uscita entro una settimana.

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«PROBLEMA GLOBALE»

Se il movimento filo-palestinese vuole sopravvivere dovrà cercarsi dei sostenitori, e il sindaco Adams, fiancheggiato in pieno dal capo dell'Ufficio Intelligence della polizia, Rebecca Weiner, teme che sia già in corso un'operazione addirittura mondiale di strumentalizzazione del movimento: «Questo è un problema globale ha detto il sindaco democratico in conferenza stampa - Gli studenti vengono influenzati da individui che sono professionisti nel radicalizzare i giovani».

Weiner, docente anche lei di Columbia, dove insegna politica internazionale, ha spiegato di aver visto il momento in cui il movimento è passato da pacifica manifestazione a organizzazione radicalizzata, e ha insistito che l'intervento della polizia non era mirato «alla soppressione delle idee degli studenti», ma al riconoscimento della «normalizzazione nei campus universitari della retorica - sia nel linguaggio che nelle tattiche di protesta - associata al caos e al terrorismo».

LA DENUNCIA

L'accusa è stata rintuzzata però da vari esponenti del corpo insegnante e dagli studenti, che denunciano un tentativo di delegittimare la protesta. Robert Cohen, professore di Studi Sociali a Columbia, ha dichiarato al nostro giornale: «Si tratta di un movimento studentesco. Sì, in alcune manifestazioni a volte si sono uniti anche non studenti, ma anche loro hanno il diritto di impegnarsi in una protesta pacifica. Non ho visto prova che questo movimento contro la guerra sia diretto da qualcuno che non sia uno studente». Qualche attivista esterno non ha fatto mistero della propria presenza, come Lisa Fithian, attivista di 62 anni, leader nel movimento contro la guerra in Iraq nel 2003, che ora insegna tattiche di guerriglia ai più giovani. Fithian ha tenuto corsi di resistenza sia a Columbia che alla City University of New York, e proprio lei ha detto che gli studenti hanno già costruito «la rete di sostegno necessaria per sostenere il movimento». Che siano i misteriosi sostenitori internazionali citati da Adams o altri movimenti già forti, senza un simile sostegno esterno la mobilitazione pro-palestinesi per ora non ha le forze per sopravvivere a una lunga estate quando gran parte degli studenti si disperderà. Val bene ricordare che i grandi movimenti generazionali del passato, da quello per i diritti civili, negli anni 50-60, a quello contro la guerra in Vietnam dal 1967 al 1973, erano molto più grandi di quello studentesco pro-palestinese di oggi. Vi partecipavano centinaia di migliaia di studenti, migliaia di college e università, rispetto alle poche decine di campus interessati oggi e a poche migliaia di studenti.

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