La bambina del pallone ovale, Emily Valentine, 132 anni fa la prima giocatrice di rugby che sfidò i tabù

Emily Valentine (Foto Cnn-Catherine Galwey)
di Paolo Ricci Bitti
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Domenica 26 Giugno 2016, 06:06 - Ultimo aggiornamento: 11 Novembre, 16:29

Occhi di ragazza, quante mete che ti aspettano. E anche placcaggi, mischie, lividi. Meraviglioso giocare a rugby, vero Emily Valentine, piccola irlandese del tardo Ottocento? Ma il problema è che tutto doveva restare segreto, nascosto, assolutamente non documentato, persino nei confronti dei genitori, perché nel 1887 alle donne non era concesso passarsi il pallone ovale. Giammai, disdicevole anche solo parlarne.
Adesso però la quasi contemporanea scoperta di un diario e delle origini di un quadro permette di illuminare l'ancora misterioso incipit del rugby femminile, retrodatandone fortemente i primi passi per di più grazie a un testo che rapisce per passione e freschezza, con le radici del resto nella stessa cittadina nordirlandese, Enniskillen, nella cui Portora Royal School studiarono anche Oscar Wilde e Samuel Beckett, nonché i fratelli di Emily Valentine.

E lei la prima ragazzina ad aver giocato a rugby nella storia e adesso la sua impresa è al centro di una crescente campagna di opinione in Inghilterra e negli Stati Uniti, con il sostegno persino dalla Cnn: tutti affascinati dal coraggio di una studentessa di 10 anni capace di sfidare tabù e invalicabili regole del regno unito vittoriano. A suo modo una femminista entrata con travolgente gioia bambina in un santuario maschile quale era all'epoca - e per molto tempo ancora - un campo da rugby, sport formatore della classe dirigente (maschile, va da sé) dell'Impero Britannico.

IL CUOIO BAGNATO
«Finalmente - si legge nel diario recuperato da una nipote della pioniera, Catherine Galwey - è arrivata la mia occasione, mi hanno passato la palla: sento ancora il profumo dei cuoio bagnato e il rilievo del laccio della cucitura sotto le dita. Ho corso più veloce quando ho visto quel ragazzo venire contro di me, l'ho schivato, il cuore batteva forte, le ginocchia quasi non mi reggevano, un ultimo scatto e ho schiacciato la palla a terra, oltre la linea, nel prato fangoso. Avevo segnato la mia meta».

E' solo un passaggio delle tante pagine che Emily Valentine ha scritto tra una tazza di tè e gli scones nella serena vecchiaia in una casa di riposo inglese, mezzo secolo dopo quell'exploit reso possibile dai fratelli maggiori William e John che, zitti zitti, le prestarono pantaloni, maglia e scarpe da gioco all'insaputa dei genitori. Il loro papà era il vicepreside del college e mai avrebbe concesso il permesso. 

Un exploit per abbattere l'ossimoro del pregiudizio - rugby femminile - che le consente, secondo l'inglese John Birch, storico inglese dello sport femminile, di ottenere il massimo riconoscimento: l'inserimento nella Hall of fame del rugby mondiale.

«Conoscevo bene le regole ed ero pronta a bordocampo con il cuore che batteva forte quando i miei fratelli mi hanno invitato a giocare in quel match con i loro amici», è un altro passo del diario. 

«Finora - ha detto Birch all'inviata della Cnn, Christina MacFarlane - la prima traccia documentata di rugby femminile risale al 1917 con altri riferimenti non ben documentati dal tardo 800, tra l'altro con la difficoltà di distinguere tra rugby e calcio, ma quel diario di Emily, scomparsa novantenne in Inghilterra, ci permette di tornare indietro di 30 anni e di fare luce su un periodo in cui ben poche donne praticavano questo tipo di sport e quasi sempre senza poterlo raccontare. E' per questo che il testo di Emily è così prezioso nella storia del rugby e dello sport in genere».

LA PARTITA
«Ho sempre amato il rugby - si legge ancora nel diario - ma non avevo la possibilità che di dare qualche calcio al pallone: non potevo muovermi più di tanto con quelle gonne, con quelle sottovesti pesanti. Ma io volevo correre: la mia grande ambizione era quella di giocare in una vera e propria partita di rugby e marcare una meta. Dopo aver segnato mi tirai su e tolsi il fango dal viso, per un momento avevo visto tutto nero. Un applauso sincero salì da parte degli spettatori. Sorrisi a miei fratelli. E stato tutto quello che aveva sperato».
 

 


Un diario prezioso al punto che lo storico inglese, penna del sito scrumqueens.com, ha avanzato la proposta di inserire Emily Valentine nella Hall of Fame del rugby mondiale i cui responsabili, per adesso, nicchiano.

HALL OF FAME
«Eppure quella bambina, addirittura un anno prima che nascesse il Torneo delle Quattro nazioni (poi 5 e quindi 6, ndr), ha compiuto un gesto rivoluzionario e attestato dal diario - ha detto ancora John Birch, fra i protagonisti della ricerca storica sul diario di Emily Valentine e già dirigente della sezione femminile del Letchworth rugby club  - mentre resta una leggenda l'origine stessa del gioco. Non c'è alcuna prova che William Webb Ellis abbia effettivamente corso con la palla in mano sul prato del college della città di Rugby, inventando così il gioco. E' sempre stata una storia al più verosimile che ci è piaciuto credere e che tuttavia, pur in mancanza di prove, è stata accettata. Anche la coppa del mondo è dedicata a lui. E allora perché non mettere Emily al suo fianco nella Hall of Fame? La sua partita non è una leggenda». Già la Bbc nordirlandese si era occupata dell'epopea della piccola pioniera, poi ostetrica e moglie di un maggiore dell'esercito di base in India, ma è adesso che la campagna per sostenere la candidatura di Emily Valentine sta prendendo quota.

IL RITRATTO

Occhi di ragazza che sognano di fare meta quando era ancora proibito sono anche quelli di Kathleen Trick, ritratta in un dipinto a olio del 1906, lo stesso anno in cui in Inghilterra vennero cancellate le partite, presumibilmente di rugby, di un gruppo di ragazze neozelandesi. La bimba aveva sei anni - come ha ricostruito sempre John Birch - ed era figlia di un dentista gallese invitato a un ricevimento a Londra della nazionale sudafricana (gli Springboks) per la prima volta in tour in Inghilterra. Allora non c'era certo il merchandising e non è chiaro come sia stata confezionata la tenuta di gioco del Sud Africa su misura per la piccola Kathleen. E non ci sono prove che Kathleen, poi trasferitasi in Galles con la famiglia abbia giocato a rugby, ma è sicuro che quel quadro che calamita emozioni, ora restaurato ed esposto nel museo di Twickenham, rappresenta la prima figura femminile con una divisa da rugby ufficiale.

RUGBY FEMMINILE - LA SCHEDA
Nato, secondo la romanzata vicenda, nel 1823 nella città inglese che gli dà il nome, il rugby si è differenziato dal calcio solo nel 1871 restando sempre riservato ai maschi. Si hanno notizie, non provate, di match-esibizioni femminili nel 1881: ma poi è rugby o calcio? E risale al 1895 una figurina-regalo inglese con una presumibile rugbysta. Partite, ma a porte chiuse, risultano in Francia e in Inghilterra nel 1903 e nel 1913, ma è solo nel 1917, con gli uonini al fronte, che un match femminile viene organizzato a Cardiff per beneficenza. Per la prima coppa del mondo va atteso il 1991, sei anni dopo il debutto delle azzurre.

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